Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione del Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?
Sicuramente il Codice Unico del Terzo Settore. Con questo strumento si recupera sostanzialmente tutta la legislazione del Terzo Settore, e si va a definire in termini giuridici tutta una serie di questioni, a partire dall’entità dello stesso Terzo Settore. Rappresenta uno strumento intorno al quale può davvero nascere una nuova idea di Terzo Settore.
Qual è, a suo avviso, l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione del Terzo Settore?
Mi preoccupa l’impostazione, che ciclicamente ritorna nella discussione della Riforma, che vede il Terzo Settore principalmente come uno strumento per sviluppare l’occupazione, a partire da quella giovanile. Si tenta di raggiungere una struttura di impresa sociale che in Italia, rispetto ad altri paesi europei, non si è mai sviluppata. Per quanto non contrario all’impresa sociale, ritengo che il Terzo Settore italiano, per la sua storia e la sua quotidianità, sia un luogo di partecipazione dei cittadini, quindi pensarlo nella sua funzione principale come uno strumento per risolvere un problema, che necessita assolutamente di una soluzione, come quello dell’occupazione giovanile è fortemente sbagliato. All’inizio del processo della riforma non si pensava assolutamente al valore sociale che il Terzo Settore riesce ad esprimere, ma si pensava proprio al Settore con una logica quasi di mercato. Mercato e Terzo Settore sono due cose che si possono incontrare ma non si devono confondere.
Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la Riforma, crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore?
Il dato più significativo di tutti è quello della trasparenza. La richiesta di una maggiore trasparenza era una richiesta generalizzata dagli enti che già sollecitavano il bisogno di una Riforma. In questo paese si è a lungo abusato di termini come non profit e Onlus. Declinare invece un Ente del Terzo Settore, come il Codice Unico lavora per fare, benché sia ancora nella fase iniziale in cui tutto può essere migliorato, è qualcosa che da garanzia a chi lavora seriamente e toglie l’ombra del sospetto laddove tutto non è pulito. Il Terzo Settore ha assolutamente bisogno di pulizie, quindi ben venga la massima trasparenza. Qualche ente si lamenta delle richieste burocratiche, dichiarando che con i nuovi obblighi si passa più tempo a registrare le attività piuttosto che a svolgerle, ma io invece sono molto convinto che la trasparenza non solo sia un qualcosa di positivo, ma che aiuti anche a crescere, e crescere bene.
Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della riforma del Terzo settore?
Noi come rete nazione di Auser, come verremo adesso riconosciuti anche giuridicamente, abbiamo investito molto. Abbiamo immediatamente compreso che la Riforma non era una semplice riscrittura delle leggi ma era un atto che inseriva dei cambiamenti che avrebbero poi segnato la vita delle associazioni, sia in positivo che in negativo, e allora ci siamo preparati. La prima cosa che abbiamo fatto è stata investire sulla trasparenza. In concomitanza con la partenza della legge quadro del 2014, ci siamo dotati di un sistema applicativo informatico unico in cui tutte le associazioni registrano ogni singolo dato e da cui è possibile estrarne sia il bilancio contabile che il bilancio sociale. Questa operazione ci permette sia di adempiere ai criteri di trasparenza richiesti dal RUNTS, sia ad adempiere al meccanismo di autocontrollo che il Codice Unico ha messo in capo alle reti nazionali. Per investire su questo applicativo informatico unico abbiamo dovuto fare tantissima formazione sulla Riforma del Terzo Settore, per capire cosa veniva attivato e cosa veniva proibito. La Riforma pone l’obbligo di professionalizzarsi e quindi di formare anche chi si avvicina per azioni sporadiche di volontariato.
Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della Riforma del Terzo Settore?
È stato sicuramente molto impegnativo, anche perché spesso e volentieri si è navigato nell’incerto. Ancora oggi ci sono molte partite che meritano una maggiore attenzione. Ad esempio, la questione dell’adeguamento degli statuti. La Riforma prevedeva per le reti nazionali la possibilità di omologare uno statuto unico presso il Ministero del Lavoro e utilizzarlo come modello ma così non è stato. Ci siamo ritrovati a discutere della riforma degli statuti con 21 funzionari di regioni e province autonome, che avevano tutti una visione e un livello di conoscenza differente della riforma. Abbiamo dovuto lavorare quindi da soli, in autonoma e non coadiuvati da un sistema pubblico in grado di aiutarci e accompagnarci nell’interpretazione del Codice Unico del Terzo Settore. Inoltre, la tempistica della riforma è stata lunghissima, se si considera il suo inizio nel 2014 con la legge quadro e il fatto che oggi nel 2021 non è ancora finita. Inoltre, ogni nuovo decreto inserisce nove cose, non aiutando nella comprensione della materia.
L’avvio della riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura giuridico e organizzativa della sua associazione?
Sì, infatti ci siamo incontrati con la necessità di dare più professionalità alle attività che già svolgevamo. Auser ha in campo, nei periodi di normalità, circa 50.000 volontari al giorno e la riforma ci ha posto il problema di conoscerli bene uno per uno. Di conoscerli noi e farli riconoscere. Abbiamo avviato un processo di cambiamento quasi radicale nel modo di fare le cose, abbiamo continuato a fare tante cose che facevamo anche prima, ne abbiamo iniziato tante altre nuove. In tutte abbiamo cercato di inserirci un concetto di conoscenza e professionalità che prima non aveva la stessa importanza.
Come valuta la definizione sul piano normativo della figura del “volontario”? Il nuovo status del volontario definito dal Codice può essere uno strumento utile a qualificare meglio l’opera dei volontari?
Sì, uno dei meriti del codice è stato proprio quello di dare un riconoscimento giuridico a molti aspetti del Terzo Settore, tra cui la figura del volontario. per cui credo che far chiarezza aiuti davvero in 360° la persona a sentirsi dentro un contesto che è chiaro e che aiuta a lavorare meglio.
La riforma ha previsto la nascita delle “reti associative”. Come valuta questa innovazione? E in che modo le reti associative potranno assolvere ai nuovi compiti a loro attribuiti?
Diciamo che le reti associative esistevano già prima della riforma solo che non avevano un riconoscimento giuridico, esistevano solo nella pratica e operavano secondo i criteri che si erano autoimposti. Oggi la Riforma, riconoscendo le reti associative con l’articolo 41, mette in capo alle reti associative anche un ruolo e dei compiti ben definiti. Il primo ruolo che io mi sento di sottolineare è quello della responsabilità. Con l’incarico del così detto autocontrollo, si passa dalla sommatoria di responsabilità che vanno dal presidente dell’associazione più piccola al presidente nazionale a una vera e propria filiera di responsabilità. Io mi sento responsabile dell’attività che viene svolta dal piccolissimo centro Auser fino al centro più grosso. Si applica una responsabilità condivisa sostanzialmente. La solitudine dei presidenti era uno dei problemi più grandi del Terzo Settore perché un’associazione nasceva con una figura responsabile sostanzialmente unica, ovvero il presidente, che rispondeva dell’operato dell’associazione anche in termini personali e col proprio patrimonio personale. Questa solitudine non si superava con l’associazione riconosciuta, perché similmente ad una srl prevedeva una percentuale di capitale vincolata al rischio. Mentre la rete unica nazionale definisce una filiera di responsabilità dove tutti sono responsabili, dove l’informazione circola in maniera trasparente e libera.
L’emergenza che stiamo vivendo ha fatto crescere nuovi bisogni che la Riforma del Terzo Settore non aveva previsto di coprire, o per i quali non ha strumenti adeguati?
L’emergenza che stiamo vivendo ha messo a nudo tutta una serie di problemi che questo paese si trascina da tempo, e che in parte erano già stati denunciati ma mai propriamente affrontati. Uno fra tutti è il cambiamento demografico, materia molto vicina all’opera di Auser. La nostra associazione denuncia un importante cambiamento demografico da anni che si interseca con un sistema di servizi e infrastrutture pensato per quando la comunità aveva delle caratteristiche demografiche completamente diverse. Ad esempio, ad oggi in Italia ci sono 3 milioni di persone non autosufficienti, numero record per il nostro paese, ma tuttora non abbiamo una politica assistenziale all’altezza dei bisogni. Dobbiamo però sottolineare che questo periodo nero ha in sé anche qualche piccola positività che possiamo trasformare in grandi positività, andando a modificare il nostro sistema di vita e servizi, che probabilmente era degenerato in maniera più o meno cosciente.
Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della riforma del terzo settore?
Sì, la scrittura di un Codice Unico è l’avvio di un percorso. Un percorso continuo che ha bisogno di adeguamenti continui, visto che anche noi non siamo una società statica, ma che cambia e si evolve, per cui avere un soggetto che in maniera molto autorevole fa un monitoraggio dell’andamento della riforma significa avere un soggetto che accompagna il cambiamento, e se questo lo fa intrecciando anche il parere di chi vive la riforma in prima persona, svolge un ruolo non utile ma utilissimo, ed è il motivo per cui Auser ha da sempre dato fiducia alla nascita di Terzjus.
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