Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione del Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?
Innovativo ritengo sia il ruolo sociale riconosciuto (art. 2) e assegnato in un Testo unico agli Enti citati e definiti nel Codice del Terzo Settore (art. 4), unitamente all’elenco esplicito delle attività di interesse generale e diverse (artt. 5 e 6).
Qual è, a suo avviso, l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione del Terzo Settore?
Preoccupante è l’approccio al Volontariato. Il Titolo III del Codice del Terzo settore, tratta “Del volontariato e dell’attività di volontariato” dall’art. 17, ma iniziando già al comma 1) parla esplicitamente degli “enti che possono avvalersi di volontari (…) e di essi devono tenere un apposito registro”. Le associazioni di volontariato che storicamente hanno aperto la strada al farsi del Terzo settore, vengono prefigurate immediatamente come “funzionali ad altro”. Più preoccupante, è la nuova definizione di volontariato derivante dal comma 2) dello stesso art. 17, con il quale si “supera” la finalità unica assegnata alle attività di volontariato dalla legge 266/1991, ma “stravolge” l’originale finalità del volontariato rispetto a quelle possibili di tutti gli altri enti del terzo settore. Detto comma 2) assegna ulteriori finalità alle attività di volontariato, inquadrandole “in favore della comunità e del bene comune, per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie, esclusivamente per fini di solidarietà”. I termini utilizzati non sono affatto sinonimi della “solidarietà” intesa dalla legge 266 in consonanza con la solidarietà scritta nella Costituzione italiana. Essi aggiungono ulteriori significati affidando così al “nuovo” volontariato finalità non cogenti rimuovere le disuguaglianze e costruire equità tra i cittadini.
Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la Riforma. Crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore?
Si richiamano tutti e tre, ma in questa fase storica di crisi in vari sensi ritengo importante organizzarsi per la sostenibilità.
Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della Riforma del Terzo settore?
Il ruolo è stato l’accompagnamento all’adeguamento degli statuti dei vari enti componenti la rete, differenti tra loro quali associazioni non riconosciute, volontariato e cooperative sociali, ma anche alle variazioni statutarie, fusioni, ecc.
Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della Riforma del Terzo Settore?
Più che impegnativo è stata snervante la lungaggine dell’implementazione del Codice, oltretutto non ancora finita del tutto. La fatica è connessa alle incertezze rimaste riguardanti gli aspetti economici e finanziari.
L’avvio della Riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura giuridico e organizzativa della sua associazione?
Sì, e questo ha portato a decisioni sul versante del consolidamento della struttura giuridica.
Ritiene che gli art.55 e 56 del CTS, nonché la recente sentenza n.131/2020 della Corte costituzionale possano aprire per la sua organizzazione nuove opportunità di dialogo istituzionale, nonché l’avvio degli strumenti di co-programmazione e co-progettazione con la Pubblica Amministrazione?
Sì. L’Associazione Comunità Progetto Sud aveva avviato modalità similari in seguito all’art. 7 (Istruttorie pubbliche per la coprogettazione con i soggetti del terzo settore) del Decreto del Presidente Del Consiglio dei Ministri, del 30 Marzo 2001, per promuovere “interventi innovativi e sperimentali” in collaborazione con diversi comuni d’Italia. L’esperienza di utilizzare strumenti di co-programmazione e co-progettazione operando in rete con altri enti del terzo settore, unitamente ai comuni interessati a co-costruire welfare territoriali e coinvolgenti anche altri Enti locali, il terzo settore, le scuole, l’associazionismo dell’arte e dello sport e del tempo libero, fino a valorizzare le responsabilità sociali delle imprese, ha prodotto cultura e idealità però, purtroppo, ha incontrato ostacoli frapposti in gran parte dagli Enti locali stessi, un po’ provocati da decisori politici e di più da parte di burocrati. Gli artt. 55 e 56 del CTS e la sentenza 131/2020 sono in linea con il DPCM del 30 Marzo 2001 (derivato dalla legge 328/2000), perfezionano le modalità del dialogo istituzionale da utilizzare in taluni rapporti intercorrenti tra Primo e Terzo settore. Mi auguro che quella politica propensa al mero governo e non alla “governance”, e quella burocrazia che interpreta come merci e non beni gli interventi e i servizi sociali, rispettino appieno queste leggi della Repubblica e il ruolo delle formazioni sociali componenti del Terzo settore.
La ministra Catalfo ha recentemente annunciato la prossima approvazione del Regolamento delle “attività diverse”. Pensa che questa innovazione, contenuta nell’art. 6 del CTS, possa facilitare lo sviluppo di “attività diverse” nella sua organizzazione, come leva per finanziare le attività di interesse generale?
Sì. Infatti di recente il mio ente ha adeguato lo Statuto associativo anche in questo senso, seppur un simile adeguamento sia avvenuto già in relazione al Decreto legislativo 460/97 sulle Onlus il quale consentiva l’esercizio di “attività connesse” a quelle istituzionali se destinate al reperimento di fondi necessari per il finanziamento di esse stesse qualora esplicitamente previste statutariamente. Abbiamo, dunque, aggiunto un breve elenco di “attività diverse” poiché per partecipare a certi bandi nazionali, europei e internazionali talune attività “specifiche” da poter svolgere devono necessariamente risultare scritte nello Statuto dell’ente che gareggia, ma non tutte sono presenti nell’art. 5 del CTS. Ad esempio, richiamo la tratta degli esseri umani, talune categorie di disabilità e di malattie rare per le quali è previsto un curriculum di esperienza, la partecipazione a enti, associazioni o istituzioni per il perseguimento di creazione del lavoro o di sviluppo del territorio, e così via.
Le linee guida sul bilancio sociale sproneranno gli enti (anche quelli non obbligati) ad utilizzare il bilancio sociale come strumento di rendicontazione e di relazione con gli stakeholder?
Sì, la costruzione del bilancio sociale ci risulta utile e anche invogliante per i componenti delle organizzazioni a movente ideale. Intravvedono con più facilità il valore aggiunto delle attività svolte e le ricadute sociali e culturali sul territorio. Sperimentiamo da tempo la “bella fatica” di arricchire il bilancio economico e finanziario attraverso il bilancio sociale e constatiamo che ne scaturiscono maggiori consapevolezze e interconnessioni tra le attività, tra queste e il territorio, e l’economia, e le professioni, e le politiche sociali e le scelte culturali dell’associazione stessa come anche le politiche sociali pubbliche in più aspetti. Riscontriamo lo stesso giudizio di utilità e di qualità dell’utilizzo del bilancio sociale da parte di organizzazioni piccole, di gruppi di volontariato e di enti di recente costituzione. L’aggiunta del bilancio sociale apporta letture di valore aggiunto che supera i concetti prestazionistici svolti dalle attività di presa in carico, di prevenzione, cura e riabilitazione. Questo impatto sociale positivo è divenuto più cosciente e informato operando e monitorando il periodo di pandemia da Covid-19 dell’anno 2020.
Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della riforma del terzo settore?
Monitoraggio e valutazione dialogica sono certamente opportuni.
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