Riforma in Movimento: intervista a Paolo Bandiera

Paolo Bandiera
INTERVISTA A
Paolo Bandiera
Direttore Affari Generali di AISM

All’interno del progetto di ricerca Riforma in Movimento si vuole creare un dialogo con le istituzioni, per accompagnare la Riforma del Terzo Settore in una crescita il più possibile positiva e in linea alle necessità del Settore. In questa intervista il Dott. Paolo Bandiera, Direttore Affari Generali di AISM, condivide con noi l’esperienza dell'associazione con gli adempimenti della Riforma.

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Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione sul Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?

In primo luogo penso che sia il fatto di aver operato un’azione di riordino e l’aver creato un sistema unitario e organico. Così facendo, da una parte si va ad eliminare le anomalie createsi dalla stratificazione delle norme, dove alcuni elementi di valore erano previsti solo per alcuni soggetti, e allo stesso tempo vengono valorizzate le specificità e le caratterizzazioni dei singoli individui. Questo è un elemento estremamente importante, che garantisce a tutti una maggiore facilità nell’autoanalisi, nel capire dove potersi collocare e nel poter intraprendere scelte identitarie. Questa Riforma è arrivata inoltre in una fase pienamente matura del Terzo Settore, che oltre a risultare il pilastro su cui poggia la coesione sociale del paese, diventa anche un importante attore economico nazionale, e la riforma aiuta proprio a fornirgli una maggiore dignità dinanzi agli occhi degli altri attori economici italiani.

 

Qual è l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione sul Terzo Settore?

Ci sono ancora delle ambiguità che vanno sciolte con molta chiarezza e molta fermezza, assumendo anche posizioni coraggiose nell’evitare di trascinarsi a interpretazioni che a volte possono essere diverse da istituzione a istituzione. Un esempio è la classificazione della raccolta fondi. È evidente che dobbiamo riuscire a definire la raccolta fondi come un’attività assolutamente distinta rispetto alle attività diverse, non a caso sono trattate in articoli diversi del Codice del Terzo Settore (artt. 6 e 7). La mia aspettativa è che la raccolta fondi venga davvero riconosciuta non soltanto come una fonte di finanziamento ma un modo connaturato a una parte degli ETS per esprimersi e realizzare la propria missione, anche attraverso la sensibilizzazione della collettività sui propri temi. Un’altra mia preoccupazione riguarda la lentezza sulla parte fiscale, capiamo il passaggio in Europa e il dovuto confronto con tante parti, che rallentano le procedure, ma ci deve essere una sintesi e un’armonia sul tema. L’ultima cosa che veramente mi preoccupa è che ci sia una visione rispetto alla Riforma che sia più formale che sostanziale. Dobbiamo essere attenti che tutto quello che accadrà sia concentrato sulla sostanza delle cose, sulla capacità di attuare la missione innovativa della Riforma. Già, ad esempio, a partire dalla revisione dello statuto, che non è semplicemente un recepire delle clausole, è un  ripensarsi e un mettersi in gioco, è un vedersi di qui ai prossimi 10/20 anni su come si può esercitare in ottica di co-responsabilità questo grande disegno della Riforma.

 

Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la Riforma, crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore?

Penso che la democraticità sia stata la dimensione meglio disciplinata e dettagliata anche se, come dicevo prima, bisogna essere attenti che i meccanismi non siano soltanto fittizi, ma siano praticati e anche rendicontati in ottica non soltanto di numeri ma di impatto prodotto e di livello di etica e sistema di valori veramente applicato. Soprattutto in questa fase di transizione digitale, che ci mette tutti in gioco e ci costringe a capire anche come le associazioni della post pandemia possano davvero garantire parità di esercizio dei diritti, democrazia, pluralismo e partecipazione, in un contesto in cui in qualche modo dobbiamo coesistere tra una dimensione fisica e una dimensione online. Anche la dimensione della trasparenza secondo me è ben inquadrata, tuttavia penso che nel sistema delle varie linee guida (bilancio sociale, misurazione impatto sociale, etc.) dobbiamo essere attenti al fatto che non sia, anche lì, il perpetuare questa dimensione di trasparenza come un semplicemente pubblicare dei dati o affidare a terzi soggetti che poi diventano anche magari dei professionisti, questa dimensione dell’accountability. Accountability vuol dire tutto un processo di indagine interna, analisi, ripensamento e quindi penso anche che dovremmo con tutta onestà dotarci di un assetto minimo di indicatori comuni a tutti che a prescindere della natura dell’ente e anche dell’area di intervento comunque siano in grado di consentire una comparatività del valore prodotto nell’impiego delle risorse. La dimensione della sostenibilità è quella meno strutturata. Penso che dobbiamo fare uno sforzo che vada al di là delle enunciazioni ideali di adesione alle sfide dell’agenda europea 2030. 

 

Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della riforma del Terzo settore?

Abbiamo vissuto la riforma con un profondo entusiasmo, mi fa piacere ricordare come l’allora sottosegretario Bobba venne da noi in assemblea e ci illustrò le grandi direttrici della riforma e da allora abbiamo avuto modo più volte di confrontarci con lui personalmente e anche nei vari tavoli del Terzo Settore. Abbiamo concorso anche nell’informazione pubblica con articoli e pubblicazioni. Abbiamo cercato di far capire alla nostra comunità come questo sia un passaggio di non ritorno, una sfida che tutti noi dobbiamo accettare, parlandone anche con i donors, i ricercatori, con le istituzioni stesse, promuovendo l’applicazione della riforma, cercando di promuovere metodi sperimentali di co-progettazione.

 

Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della Riforma del Terzo Settore?

È stato un iter sicuramente impegnativo. Ci siamo calati in modo totale in tutti i temi, in tutte le sfide portate dalla Riforma, ma ne siamo usciti sicuramente arricchiti e devo dire anche che abbiamo ripensato in modo profondo il nostro programma strategico, la nostra operatività e i nostri meccanismi di funzionamento. Non soltanto a livello nazionale, ma anche su tutte le nostre articolazioni sul territorio, fino ad arrivare alla singola persona: corsi di formazione, revisione di protocolli applicativi, etc… 

 

L’avvio della riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura  giuridico e organizzativa della sua associazione?

Al nostro interno abbiamo fatto un’azione prima di tutto culturale, per far capire come fosse intanto un’opportunità per andare ad affermare con chiarezza la nostra identità, affermando AISM come una APS e quindi di trovarci tutti allineati sui fattori caratterizzanti e costituenti questo tipo di associazioni. Abbiamo fatto passaggi in assemblea, abbiamo modificato il nostro statuto, poi abbiamo modificato lo statuto della FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla), andando anche ad elevare delle attività che prima in qualche modo avevano una dimensione più strumentale  o in qualche modo accessoria rispetto alla missione, che invece sono diventate centrali. Ad esempio, abbiamo preso il tema del servizio civile universale per la difesa della patria e l’abbiamo portato nella missione. Abbiamo ben chiaro che fare servizio civile fa parte del nostro modo di intendere la realizzazione della missione, quindi vuol dire aver vissuto in questi anni tutte le fasi.

 

Ritiene che gli art.55 e 56 del CTS , nonché la recente sentenza n.131/2020 della Corte costituzionale possano aprire per la sua organizzazione nuove opportunità di dialogo istituzionale nonché l’avvio degli strumenti di co-programmazione e co-progettazione con la Pubblica Amministrazione?

Penso davvero che sia un aspetto centrale della Riforma perché da un lato dobbiamo sicuramente andare a fare chiarezza sul fatto che l’apparato e gli strumenti comunicativi non devono essere vissuti come un qualcosa di migliore solo dal punto di vista della diffusione di modelli, ma anche come immunità giuridica rispetto al sistema degli appalti. Uno dei valori fondamentali che ha portato la Riforma è proprio l’approccio alla cooperazione e alla collaborazione. Questo non soltanto come reti, ma nel Terzo Settore in generale. Il Terzo Settore si deve aprire al confronto e deve essere anche pioniere di partenariati innovativi con il pubblico ma anche portando dentro delle componenti profit. In qualche modo è questa la vera innovazione. Poter avere la capacità di partire dal basso con la co-programmazione in cui si identificano i bisogni, elaborare delle co-progettazioni anche magari con co-finanziamenti, come i patti di sussidiarietà, che sono attivi da moltissimi anni ma praticati pochissimo, a causa del timore delle pubbliche amministrazioni temono riguardo l’incertezza di queste formule che allora preferiscono virare sul tradizionale codice degli appalti. Dobbiamo avere la responsabilità di fare modelli, di costruire delle pratiche, di metterle in circolo e di raccontarle, di fare delle sperimentazioni che sono anche in qualche modo atte a corroborare la bontà dell’impianto tecnico giuridico. Questo lo si vede tanto nel 55 e 56, non soltanto però come un riconoscimento di spazio e di dialogo, ma anche come un incentivo e una sollecitazione a mettersi in gioco e a studiare delle soluzioni, formule nuove, assumendo un approccio di co-responsabilità della gestione pubblica. 

 

Il CTS ha introdotto una nuova figura tra gli enti del Terzo settore: gli enti filantropici. Come valuta questa innovazione e ritiene che possa sostenere lo sviluppo in Italia di una moderna filantropia?

Io penso che dobbiamo uscire un po’ fuori dall’ottica della filantropia ispirata ai modelli anglosassoni e all’approccio istiturio soltanto relativo. Penso che un ente filantropico debba poter compenetrare la dimensione erogativa con la dimensione esecutiva. Bisogna concepire il modello dell’ente filantropico con una certa duttilità, e quindi non soltanto come un soggetto che garantisca l’erogazione di somme ma che sia anche in grado poi metterci del proprio e di produrre valore, anche tramite azioni dirette. Questo penso che sia un aspetto già presente nella pratica ma che la norma non ha ancora ben recepito poiché tiene in considerazione enti filantropici tradizionalmente intesi come enti erogatori.

 

La riforma ha previsto la nascita delle “reti associative”. Come valuta questa innovazione? E in che modo  le reti associative potranno assolvere ai nuovi compiti a loro attribuiti?

Io penso che sia importante il riconoscimento delle reti ma penso che sia importante anche il riconoscimento di quelle realtà che pur avendo una struttura coesa e giuridicamente configurandosi come ente unico e quindi non di tipo federativo, abbia un livello organizzativo diffuso come il nostro, anche se non sono dei “circoli autonomi”. 

 

Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della riforma del terzo settore?

Io parlerei proprio di una essenzialità del monitoraggio e della valutazione in itinere di come poi la Riforma viene applicata. Dobbiamo darci uno spazio di correzione perché una Riforma così complessa non può nascere perfetta, e soprattutto, ci sono degli elementi esterni di tale volatilità e ambiguità e complessità difficili da controllare, come la pandemia ci ha insegnato. Bisogna essere in grado di garantire una plasticità della Riforma che sia in grado di essere al passo con i tempi e a volte anche anticiparli. Sarebbe anche molto importante avere una regia unitaria per questo monitoraggio ma che diventi anche una sfida di responsabilità collettiva.

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