Per iniziare, cosa ne pensa in generale delle Riforma?
Con la Riforma per la prima volta gli enti di Terzo Settore non sono definiti solo in negativo (cioè non essere settore profit, né pubblico) o sulla base della loro forma giuridica specifica, ma per le finalità che si prefiggono e le attività che praticano, a condizione che queste siano di «interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi». E’ un cambio di impostazione, anche culturale, che supera la logica con la quale fino a quel momento le Istituzioni guardavano al settore non profit come realtà “residuale”, dando valore non solo a ciò che le organizzazioni fanno ma contemporaneamente anche al come operano (democraticità, partecipazione) e al perché (finalità di interesse generale). Inoltre il Codice del Terzo Settore ha il merito di avere riordinato la frammentata normativa degli enti non profit all’interno di un unico testo, in alcuni casi confermando la vecchia disciplina e in altri casi innovandola. L’attenzione riservata dal legislatore nasce dalla oggettiva considerazione che il Terzo Settore, nella sua pluralità e complessità di forme ed espressioni, è un elemento strategico per l’economia e lo sviluppo del Paese, in grado di fornire non solo e non tanto servizi prima svolti dal soggetto pubblico, ma di contribuire alla costruzione di un sistema economico e sociale più equo e inclusivo.
Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione del Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?
Ne cito almeno due che ritengo importanti sia per le imprese Sociali che per tutte le altre organizzazioni previste dal Codice come ETS:
- l’art. 55 del D.Lgs 117/2017 nel privilegiare la sinergia tra attori pubblici e ETS e la messa in comune di risorse e mezzi ha dato importante rilievo e significato alle logiche collaborative piuttosto che a quelle competitive. Identifica cioè i “rapporti collaborativi” come frutto e realizzazione del principio costituzionale sancito dall’art. 118. Questa previsione ha acquisto ancora più forza e chiarezza nel pronunciamento della Corte Costituzionale con la sentenza 131 del giugno 2020 che specifica come lo svolgimento di attività di interesse generale non sia monopolio delle istituzioni pubbliche, in quanto le stesse «possono essere perseguite anche da una autonoma iniziativa dei cittadini che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese». Vi è cioè “un dovere comune” tra pubblico e privato sociale che scaturisce da una finalità comune, nel realizzare quanto previsto dalla nostra Costituzione. Tutto ciò richiede però non solo un aggiornamento e revisione dei modelli e strumenti normativi e giuridici, ma una volontà da parte delle P.A e degli ETS di confrontarsi in modo nuovo acquisendo competenze, capacità di analisi, lettura, interpretazione dei bisogni e delle potenzialità espresse dal territorio per meglio ideare e costruire servizi e progettualità utili a generare valore per le stesse comunità.
- Ampliamento dello strumento del servizio civile che viene interpretato come una delle modalità più efficaci di coinvolgimento dei giovani. La riforma ha ampliato le categorie dei possibili partecipanti, non solo giovani italiani ma anche stranieri residenti (da qui il cambio di dizione da servizio civile nazionale a servizio civile universale) e ha definito una programmazione di più lungo respiro (triennale e non più solo annuale e collegata anche alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile). Nel sistema precedente vi era infatti una programmazione annuale delle risorse finanziarie ma non una programmazione degli interventi e nessuna indicazione strategica veniva fornita agli enti di servizio civile per indirizzarne le proposte progettuali. Negli anni si è mostrata l’importanza del Servizio Civile come esperienza per le giovani generazioni di un impegno che offre loro la possibilità di acquisire competenze che poi potranno tornare utili nei successivi percorsi formativi e lavorativi, ma soprattutto di contribuire a dare valore alle comunità in cui vivono e di sentirsi cittadini maggiormente attivi e partecipi proprio nelle loro comunità. E’ uno strumento che sviluppa e accresce la consapevolezza di essere cittadini italiani e anche cittadini europei.
Qual è, a suo avviso, l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione sul/riforma del Terzo Settore?
Il fatto che – a distanza di 4 anni dalla Legge Delega – non sia stata ancora completata; mancano ancora molti decreti attuativi, non sono definite le parti relative alle misure fiscali, si prospetta un ulteriore slittamento dell’entrata in vigore del RUNTS e quindi tutta quella necessaria revisione normativa cui facevo riferimento al punto precedente e che è strettamente connessa all’esistenza degli ETS, rischia di avere come interlocutori ancora realtà definite dall’iscrizione ai “vecchi” registri (OdV, APS, Onlus) che sono proprio quelli che la Riforma intende superare. Collegata a questo la preoccupazione che a fronte di nuovi adempimenti richiesti agli enti per poter assumere la qualifica di ETS e quindi iscriversi al RUNTS, non pochi, soprattutto quelli di piccola dimensione, possano incontrare difficoltà, con il rischio quindi di un impoverimento a livello locale della trama degli Enti di Terzo Settore su cui fanno oggi affidamento le comunità locali.
Con l’istituzione del Runts, ritiene che l’attività erogativa e progettuale delle FOB possa essere facilitata e meglio finalizzata?
In parte potrebbe essere facilitata. Il registro unico semplificherà alcune procedure amministrative e auspicabilmente ridurrà la produzione di documentazione per la partecipazione ai bandi.
La riforma ha previsto una sostanziale revisione dei CSV. Come valuta questa innovazione legislativa che vede coinvolte direttamente anche le FOB? E che percezione ha del processo in corso di trasformazione dei CSV?
Il processo di revisione è stato seguito, partecipato e condiviso dalla nostra associazione di Categoria (ACRI). Ora però sui territori si apre la fase più interessante e più delicata: la fasatura delle attività vecchie e nuove. Auspichiamo quindi una sinergia e una collaborazione ampia tra CSV, le centrali cooperative, i Forum, ecc.
Il CTS introduce una nuova categoria di ETS: gli enti filantropici. Ritiene che questa innovazione possa favorire ed allargare l’intervento delle FOB di sostegno alle attività degli enti beneficiari di interventi filantropici?
No, dal lato delle FOB non cambia nulla. Introduce però una novità molto utile per il sistema delle Fondazioni di Comunità le quali nel recente passato hanno patito un deficit di inquadramento normativo e delle limitazioni operative. Auspichiamo però che gli enti filantropici possano sostenere anche enti non profit non inclusi nel Runts. Su questo punto il confronto con le Regioni sull’esercizio della loro potestà legislativa credo sia interessante.
La riforma ha introdotto per la prima volta strumenti di finanza sociale (titoli di solidarietà, social lending, ecc.). In attesa della loro messa in opera, pensa che le FOB potranno avvalersi ed incoraggiare l’uso di tali strumenti?
La riforma prevede l’attivazione di strumenti di finanza sociale (titoli di solidarietà, social lending, finanza di impatto, ecc.) in grado favorire lo sviluppo di progetti capaci di generare benefici sociali. Sono strumenti che potenzialmente arricchiscono l’offerta di risorse dedicate all’economia sociale e che permettono la realizzazione di modelli ibridi di intervento, con il ricorso a diverse tipologie di strumenti, dal grant, all’equity, al debito, al mezzanino, in funzione delle specifiche caratteristiche dei soggetti beneficiari e del loro modello di attività e della loro fase di sviluppo. È importante che il “sistema” maturi le competenze necessarie a comprendere il funzionamento di questi strumenti. Un ulteriore importante beneficio potrebbe derivare dall’incentivo fiscale per gli investitori, favorendo dunque una maggior raccolta di risorse per supportare lo sviluppo di iniziative di natura sociale.
Il dlgs 112/2017 ha modificato sostanzialmente la disciplina che regola e promuove l’impresa sociale. Come considera tale cambiamento? E ritiene che le FOB possano avvalersi di tale nuova disciplina per promuovere e controllare imprese sociali quali enti strumentali per perseguire i propri scopi istituzionali?
Il decreto aveva l’obiettivo di migliorare la disciplina dell’impresa sociale, colmando le lacune, relative soprattutto al regime fiscale, presenti nel D.Lgs 155/2016 e rimuovendo le principali barriere al suo sviluppo, rafforzandone il ruolo nel Terzo settore, anche in chiave di sistema. Le imprese sociali mantengono comunque caratteristiche molto particolari perché sono pensante per favorire lo sviluppo di iniziative a forte connotazione imprenditoriale. Gli strumenti utilizzati dalle FOB nel perseguimento dei loro scopi istituzionali sono già numerosi e la scelta di quale di essi sia più opportuno utilizzare dipende dalle caratteristiche e dalle finalità delle iniziative e dei progetti da realizzare. E’ importante che le FOB mantengano una funzione sussidiaria e favoriscano la crescita di iniziative promosse dal basso.
Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della riforma del terzo settore?
Certamente. Lo stesso codice del Terzo Settore ha infatti previsto l’istituzione di luoghi decisionali dedicati a questo. Penso al Consiglio Nazionale del Terzo Settore, con funzioni consultive, di nomina e di vigilanza, monitoraggio e controllo sull’applicazione della normativa sul terzo settore e alla Cabina di Regia che costituisce la sede di confronto, di raccordo politico, strategico e funzionale tra le amministrazioni statali, le regioni e gli enti locali. La cosa importante è che questi organismi siano convocati con tempistiche definite per poter svolgere al meglio ed in modo efficace le funzioni loro attribuite.
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