Riforma in Movimento: intervista a Felice Scalvini

Felice Scalvini
INTERVISTA A
Felice Scalvini
Presidente di Assifero

All’interno del progetto di ricerca Riforma in Movimento si vuole creare un dialogo con le istituzioni, per accompagnare la Riforma del Terzo Settore in una crescita il più possibile positiva e in linea alle necessità del Settore. In questa intervista il Dott. Felice Scalvini, Presidente di Assifero, condivide l’esperienza della sua associazione.

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Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione del Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?

Sicuramente il Codice, al cui interno viene richiamata anche la normativa all’impresa sociale. Il Codice risponde ad un disegno ambizioso e, nel complesso, abbastanza riuscito. Quello di dare una struttura organica e articolata al riconoscimento istituzionale al fenomeno complessivo del Terzo Settore. Una operazione che non ha riscontro in nessun’altra legislazione al mondo e che pone il nostro paese all’avanguardia nel panorama europeo e globale nel riconoscimento delle potenzialità della concreta partecipazione dei cittadini nella gestione diretta della cosa pubblica.

 

Qual è, a suo avviso, l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione del Terzo Settore?

Il fatto che un disegno ambiziosissimo e lungimirante è stato realizzato in larga misura guardando nello specchietto retrovisore. Si è, in una certa misura persa l’opportunità, che doveva essere connaturata ad un disegno codicistico, di distinguere e regolare in modo chiaro le diverse forme organizzative, sulla base delle diverse funzioni loro riconosciute, all’interno di un disegno armonico del Terzo Settore. Andavano distinte in modo più chiaro le realtà che svolgono una funzione redistributiva/partecipativa, da quelle impegnate in una funzione produttiva. Tra le prime, l’unica definita con nitidezza è la forma dell’ente filantropico, mentre anche la forma delle organizzazioni di volontariato è stata annacquata ammettendo la possibile prevalenza dei lavoratori, mentre riguardo alle forme proprie dell’attività produttiva, si è mantenuto l’equivoco irrisolto della decommercializzazione delle attività istituzionali – anche se oggettivamente commerciali – con la conseguente alchemica regolamentazione del rapporto tra costi e ricavi che, in tutta evidenza, nulla ha. Dunque un impianto regolatorio delle realtà che si trovano all’interno dell’universo del terzo settore, sicuramente riconoscibile nella sinopia sottostante al Codice, è stato poi notevolmente annacquato dall’assenza di alcune scelte un po’ più coraggiose in grado di favorire la modernizzazione istituzionale di alcuni comparti del Terzo Settore. A questo si accompagna una incompiuta, e comunque ancora aleatoria, legislazione fiscale. Incompiuta sia perché mancano alcune norme fondamentali, come quelle relative all’IVA, i cui diversi regimi, nei servizi socio-sanitari e assistenziali continuano ad essere legati, del tutto ingiustificatamente, a profili soggettivi, quali quello delle cooperative sociali o degli enti non commerciali, anziché essere omogeneizzata in base allo svolgimento di attività del tutto identiche. Aleatoria perché la scelta di sottoporre alcune misure fiscali alla notifica alla Commissione Europea, peraltro mai attuata e comunque incomprensibile per le misure riguardanti l’impresa sociale – mantiene una inaccettabile situazione di incertezza.

 

Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la Riforma, crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore?

Il tema della sostenibilità, e anche quello della trasparenza, trovano delle limitazioni che derivano dalle considerazioni appena fatte. La mancata definizione completa da parte del legislatore delle caratteristiche specifiche degli enti, mantenendo questa zona grigia intermedia dove prevalgono i dati formali ai dati sostanziali, cioè le caratteristiche statutarie piuttosto che il riconoscimento dell’oggettiva attività che viene svolta, rende più complessa la sostenibilità. La sostenibilità non è solamente frutto dall’attribuzione di risorse, ma anche dalla creazione delle condizioni per cui gli enti possano operare al meglio per raggiungere la sostenibilità relazionandosi col contesto economico e sociale entro cui operano. Riguardo a ciò il sistema di relazioni  con la parte pubblica, previsto all’art. 55, che rende legittimo il superamento delle gare al massimo ribasso – vero cappio al collo del terzo settore – rappresenta un passo in avanti formidabile. 

Quanto alla trasparenza la scelta di operare per schemi tipo, anziché attraverso un sistema di principi mi pare piuttosto rigida e fonte di complicazioni, soprattutto per le piccole organizzazioni. 

La democraticità giustamente riguarda alcuni enti e non altri. Probabilmente sarebbe stato però opportuno riguardo anche sul profilo della partecipazione, oltre a quello della democraticità, per tutti gli enti e non soltanto per le imprese sociali.  La scelta fatta di concentrarsi sulla democraticità ha determinato, a parer mio, un eccesso sul fronte delle associazioni, con la rigida previsione della totale parità tra associati e lasciato in un cono d’ombra le fondazioni, per le quali non si richiede nessun aggancio strutturale agli stakeholders. Per garantire il fatto che vengano incorporati nella governance le istanze dei diversi interessi che ruotano intorno agli enti del terzo settore andava costruito un sistema di principi ad un tempo più rigoroso ed elastico, adattabile con opportuni dosaggi alle diverse forme giuridiche. 

 

Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della Riforma del Terzo settore?

Noi abbiamo costantemente informato i nostri associati, però il ritmo di attuazione piuttosto dilatato – mi riferisco essenzialmente dell’attuazione del RUNTS – fa sì che i nostri sforzi non siano stati sufficienti a determinare una serenità operativa in capo ai nostri associati. E soprattutto che non si siano ancora realmente generate le opportunità determinate dall’entrata in regime della Riforma.

 

Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della Riforma del Terzo Settore?

È stato molto impegnativo. Questa è una Riforma incompiuta, costantemente dilazionata entro un limbo fatto di un’attesa che tarda a compiersi. Tutto ciò ovviamente è stressante. Rischia di essere una specie di perenne permanenza sul bastione della fortezza che guarda il deserto dei Tartari. Adesso finalmente sembra che i Tartari, con la creazione del RUNTS, stiano arrivando sul serio, però sono passati ormai quasi 4 anni.

 

L’avvio della Riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura  giuridico e organizzativa della sua associazione?

La specifica legislazione sulle reti associative ci induce a una ridefinizione, che per altro  era già in corso. Per quanto riguarda i nostri associati, l’assenza di provvedimenti fiscali specifici relativi agli enti filantropici rende meno attraente la scelta di una ridefinizione in base a questa figura giuridica prevista dal Codice. Però vedo che molte realtà stanno facendo comunque questa scelta e questo potrà dare ulteriore forza alla nostra azione per costruire nel nostro paese un polo sempre più robusto della filantropia istituzionale.

 

Ritiene che gli art.55 e 56 del CTS , nonché la recente sentenza n.131/2020 della Corte costituzionale possano aprire per la sua organizzazione nuove opportunità di dialogo istituzionale nonché l’avvio degli strumenti di co-programmazione e co-progettazione con la Pubblica Amministrazione?

Io credo che l’articolo 55 rappresenti una delle norme, se non la norma più importante del Codice del Terzo Settore perché è quella che più specificamente e concretamente dà attuazione al principio di sussidiarietà, fondamento costituzionale della ragion d’essere del Terzo Settore. Questo significa non solo aprire nuove opportunità, ma anche sfidare tutte le organizzazioni del Terzo Settore, e quindi anche gli enti filantropici a costruire un loro nuovo e adeguato profilo riguardo alle nuove forme di dialogo e relazioni istituzionali che si andranno a determinare. Deve però essere chiaro a tutti che non si può immaginare di co-programmare o co-progettare con la pubblica amministrazione se innanzitutto non si co-programma o co-progetta trasversalmente tra le organizzazioni del Terzo Settore. Secondo me questa è la vera sfida culturale, strategica e organizzativa che l’art. 55 sollecita a tutte le organizzazioni del TS. Per gli enti filantropici immagino un ruolo decisivo nell’innescare questi processi di collegamento e aggregazione trasversale e nel supportare le diverse dinamiche collaborative. Certo bisogna mettere in soffitta buona parte della strumentazione sino ad oggi utilizzata per erogaree risorse attraverso bandi competitivi.

 

Il CTS ha introdotto una nuova figura tra gli enti del Terzo settore: gli enti filantropici. Come valuta questa innovazione e ritiene che possa sostenere lo sviluppo in Italia di una moderna filantropia?

Come Assifero, noi abbiamo fortemente richiesto questo riconoscimento e siamo molto contenti di averlo ottenuto. Credo che sia un’innovazione che può aiutare in modo formidabile lo sviluppo di quella che viene definita una moderna filantropia e favorire un processo di polarizzazione del mondo complessivo delle Fondazioni tra quelle dedite all’azione filantropica e quelle impegnate in varie forme di operatività imprenditoriale. Processo che, personalmente, ritengo fondamentale per lo sviluppo di tutto il mondo del Terzo Settore. Bisogna però lavorare per definire un profilo non solo giuridico, ma anche fiscale adeguato per gli enti filantropici, profilo che dovrebbe presentare alcune peculiarità rispetto a quello degli enti che svolgono attività operative di natura imprenditoriale. Dovrebbe trattarsi di una differenziazione naturale: purtroppo uno dei problemi che già citavo prima è il non totale allineamento, che per altro fa parte della tradizione italiana, tra profilo civilistico e profilo fiscale. Però non demordiamo e siamo fiduciosi circa la possibilità di  fare ulteriori passi nella costruzione di una moderna filantropia.

 

La Riforma del Terzo settore, con il decreto legislativo 40/2017, ha comportato significativi cambiamenti nel sistema di accreditamento e nella gestione del servizio civile da parte degli Enti. Come valuta queste innovazioni?

Ritengo sia stato costruito un meccanismo di accreditamento ragionevole, a cui però è stato collegato sistema di bandi per l’assegnazione dei giovani del tutto improprio. Mi sembra veramente una forma di operatività insensata e ingiustificata. La risorse andrebbero attribuite in base alla capacità dei diversi enti di attrarre i giovani e poi consolidate sulla base di verifiche costanti circa la effettiva attuazione di un servizio civile di qualità. Prevedere che venga ogni anno, per ogni tornata, riproposta una progettazione che è del tutto formale, e che finisce poi per attribuire le risorse secondo criteri che non si capisce esattamente quali siano, quando gli enti sono in realtà già stati accreditati e quindi riconosciuti capaci di gestire il servizio civile, mi sembra veramente una modalità barocca e poco sensata. Piuttosto, ribadisco, invece la possibilità di continuare ad avere giovani in servizio civile dovrebbe essere legata alla valutazione della effettiva qualità delle attività svolte all’interno di quell’ente. Dati alcuni indicatori, se gli enti dimostrano di offrire opportunità adeguate secondo lo spirito della legge ai giovani in servizio civile, aumentandone anche l’occupabilità e la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, dovrebbero in automatico avere la possibilità di avere altri giovani, diversamente dovrebbe esser chiuso, per gli enti che risultano inadeguati, il rubinetto delle risorse. Mi pare esattamente l’opposto di quanto avviene attualmente.

Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della Riforma del Terzo Settore?

Assolutamente sì.

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