A che punto è il non profit nel suo rapporto con il digitale? Siamo al 2.0 o stiamo cavalcando l’onda del 3.0? Ne ha parlato di recente anche questo inserto, citando i dati di una ricerca Isnet. Mentre l’industria veleggia verso la versione 4.0 tra sistemi cibernetici e smart factory lo scenario della trasformazione digitale nel non profit italiano presenta luci ed ombre.
A livello di sistema, non è un caso che i cittadini sappiano poco o nulla del non profit, pur frequentandolo in qualità di utenti, donatori e volontari in misura massiccia. Nonostante ciò, il cittadino non trova ancora oggi un’interfaccia generale, istituzionale in quanto pubblica, un elenco di enti in qualche modo definitivo che restituisca l’ufficialità dei dati oggettivi e delle informazioni dedicate. Per vedere pubblicata sul sito dell’Agenzia delle entrate l’Anagrafe delle onlus si sono dovuti attendere circa 18 anni per una versione dei dati in pdf. Sono poche le Regioni con elenchi, albi e registri online e spesso è un mistero la data di aggiornamento. Il Registro unico nazionale del Terzo settore, previsto dalla Riforma approvata l’anno scorso, non appare proprio dietro l’angolo ma non appena vedrà la luce segnerà un punto di svolta sia per gli enti che peri cittadini.
È proprio la Riforma, infatti, ad aver affidato alla sfera digitale un ruolo rilevante per rinforzare i rapporti tra istituzioni, enti non profit, e cittadini. Si pensi agli obblighi dl pubblicazione dei bilanci sociali sui siti degli enti, così come le remunerazioni dei soggetti apicali delle organizzazioni, o le nuove opportunità di fundraising quale il social bonus o ancora il sempreverde il per mille. L’ormai prossima «istituzionalizzazione digitale del non profit» incontrerà peraltro una popolazione che in gran parte ha familiarità con gli strumenti digitali (quali le app, i social media, i motori di ricerca) e che è già in attesa.
La digitalizzazione del Terzo settore non può però risolversi forzando la presenza online delle organizzazioni o trasferendo al digitale la sfida della raccolta fondi. La trasformazione è un processo complesso che coinvolge comportamenti organizzativi di grande portata e chiama gli enti e i cittadini di fronte a sfide ben più grandi. In questo senso sarà certamente interessante fra qualche anno osservare in che misura la «spinta digitale» avrà impattato sui modelli di intervento, sulla theory of change, sulla gestione dei donatori ricorrenti, sul community building, sullo sviluppo organizzativo interno, sull’audience development, e su altro ancora, non tanto o non solo negli strumenti utilizzati, quanto nello spingere gli operatori a percorrete vie non ancora battute. In merito alle singole organizzazioni, un’indagine specifica sulla trasformazione digitale del Terzo settore, svolta da Italia non profit tra fine 2017 e inizio 2018, mette in risalto due aspetti interessanti sul tema. Da un lato gli enti, per il tramite dei loro direttori generali e responsabili comunicazione e fundraiser, si dicono consapevoli del fatto che la trasformazione digitale cambierà ulteriormente loro modo di relazionarsi con utenti, volontari, donatori e decisori pubblici, anche se lamentano l’impreparazione della governance sul tema con conseguente mancanza di investimento per acquisire le necessarie competenze. Gli stessi direttori, così proiettati verso la digitalizzazione, sembrano dare maggiore risalto e nutrire aspettative soprattutto verso aspetti legati al fundraising e alla comunicazione. Al contempo però sono anche consapevoli che le novità maggiori basate sull’intelligenza artificiale, sull’utilizzo delle blockchain e sul machine learning potrebbero incrementare la qualità e la quantità dei loro servizi agli utenti.
Gli operatori del non profit sanno che la trasformazione digitale, con tutto il suo portato rivoluzionario sui processi anche di inclusione sociale, si tradurrà certamente in un efficientamento delle tecniche di fundraising e di awareness ma hanno anche (in sempre più numerosi casi) la corretta percezione che questa vera e propria rivoluzione inciderà e non poco sul modo in cui le non profit migliorano la qualità della vita alle persone alle comunità. Il non profit potrà cogliere l’onda di questa trasformazione se saprà non solo stare al passo con l’ambiente circostante – le istituzioni, l’alfabetismo digitale dei cittadini – ma anticipandolo nelle visioni. Certo è che il ricambio generazionale – anche nel governo degli enti stessi -aiuterà questo processo, così come le esperienze innovative di tanti enti, indipendentemente dalla loro «grandezza» o rilevanza testimoniano sui temi legali al fundraising, all’economia circolare, ai modelli di analisi predittivi, alla sharing economy; innovazioni che sono state rese possibili principalmente dalla capacità di cogliere le opportunità che il digitale offre già tutti, indistintamente, nelle potenzialità esplorative e visionarie.
Articolo pubblicato il 21 agosto 2018 su Corriere della Sera – Buone Notizie
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