La riforma del Terzo settore – come ha ricordato Mara Moioli, cofounder di Italia non profit, in una sessione dedicata del Digital For Non Profit, che si è tenuto sabato 16 a San Patrignano – spinge il non profit verso il digitale, aumentando le potenzialità della sharing economy.
Pur essendo ancora lontana dall’essere operativa, dato che mancano 42 decreti attuativi (vedi Il Sole 24 Ore del 7 agosto), la riforma porta con sé un cambio di prospettiva nel modo di pensare al non profit. L’impianto di norme prodotto negli ultimi trent’anni ha prodotto un insieme di provvedimenti scoordinati e la riforma, seppure con alcune timidezze, introduce sfide importanti per i donatori, per gli operatori e per le organizzazioni e lo fa affidandosi in parte al digitale.
Le novità introdotte che hanno un risvolto immediatamente digitale attengono principalmente: nuove regole e obblighi per gli enti, nuovi strumenti e canali a disposizione del cittadino, e pertanto accessibilità alle informazioni. Il digitale è protagonista della riforma in quanto obbliga le organizzazioni a pubblicare online rendiconti economici e bilanci sociali, oltre ai resoconti sull’utilizzo del 5 per mille e delle risorse acquisite negli eventi di piazza. Anche all’amministrazione pubblica è richiesto uno sforzo considerevole con l’istituzionalizzazione del nuovo Registro unico nazionale degli enti del Terzo settore.
A oggi siamo ancora fermi a un sistema analogico, che vede consultabili dal cittadino gran parte degli oltre 300 registri solo recandosi presso le amministrazioni competenti. La riforma prevede che le organizzazioni che intenderanno fregiarsi del titolo di ente del Terzo settore, con annesse agevolazioni, dovranno iscriversi al Registro unico, accessibile via web dal cittadino. È un primo passo, certamente ancora lontano dai sistemi inglese e americano, che offrono informazioni e servizi ben più avanzati rispetto al mero elenco delle organizzazioni.
Italia non profit si ispira ai modelli anglosassoni, dato che consente ai cittadini (siano essi donatori, amministratori pubblici, investitori) la piena fruizione di dati raccolti e rielaborati in modo innovativo e utile alle necessità di ognuno, con analisi di trend sia sui singoli enti che per settore di attività.
La svolta digitale, spinta dalle novità legislative e dalle iniziative private, darà quindi nuove potenzialità anche alla sharing economy, punta di diamante del digitale, implementata proprio da iniziative non profit che hanno lanciato la sfida alla crisi economica attraverso la promozione di forme consapevoli e mutualistiche di consumo dei beni e dei servizi.
Articolo pubblicato il 18 settembre 2017 su Il Sole 24 Ore
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