Profili fiscali degli Enti del Terzo Settore

Gabriele Sepio
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Gabriele Sepio
INTERVISTA A

La Riforma del Terzo Settore introduce nuovi profili fiscali per le organizzazioni non profit che possono beneficiare di numerosi vantaggi in base al tipo di attività svolta.

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Con la riforma del Terzo settore vengono riorganizzati i diversi regimi fiscali riservati agli enti non profit grazie all’introduzione di un sistema di norme organico che supera l’attuale frammentazione legislativa.  Il Codice del Terzo Settore calibra la fiscalità degli enti e i benefici fiscali in base alle concrete modalità di svolgimento delle attività istituzionali di interesse generale (art. 5 del D.lgs. n. 117/2017 o CTS) alle eventuali attività secondarie nonché alla natura dell’ente ed al suo modello organizzativo. Alcune misure sono già entrate in vigore a far tempo dal 1 gennaio 2018. Si tratta delle disposizioni di vantaggio che, in attesa dell’operatività del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), si rendono applicabili ad Onlus, Associazioni di Promozione Sociale e Organizzazioni di Volontariato iscritte nei rispettivi registri. Le misure in parola prevedono particolari regimi agevolativi sui tributi indiretti, finalizzate ad incentivare l’acquisto di beni e risorse da parte degli enti, nonché benefici fiscali a fronte di erogazioni liberali in denaro e in natura.

Per quanto riguarda, invece, la tassazione dei redditi prodotti dagli enti del Terzo Settore la riforma prevede alcune importanti novità. Va innanzitutto considerata la portata innovativa dell’art. 79 del Codice del Terzo Settore con il quale viene definita la natura commerciale o meno sia dell’attività che dell’ente nel suo complesso. La norma, in linea generale, tiene conto del rapporto ricavi e costi effettivi riferibili all’attività di interesse generale escludendo la tassazione anche nell’ipotesi in cui l’ente realizzi un piccolo margine di utile (5%). Si tratta di uno schema che riprende alcuni principi già espressi a livello euro-unionale e che contemplano la possibilità di defiscalizzare lo svolgimento di attività dietro versamento di corrispettivi al ricorrere di determinati presupposti.  

Più nello specifico e con particolare riferimento alla natura delle attività di interesse generale, il criterio base viene dettato dall’art. 79, comma 2. Si considerano non commerciali le attività svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi non eccedenti i costi effettivi, tenuto anche conto di eventuali apporti pubblici e salvo importi di partecipazione alla spesa posti dalla legge a carico dell’utenza. Tale principio subisce, come anticipato, una serie di deroghe, onde evitare un’applicazione troppo rigida. In primo luogo, si ammettono lievi scostamenti tra costi e ricavi (entro il 5%), purché questi non si protraggano per più di due esercizi consecutivi. Specifiche ipotesi di decommercializzazione sono poi previste per alcune attività, in base alla meritevolezza degli interessi tutelati oppure alla specifica tipologia di iniziative che l’ente svolge. Basti pensare alle attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale. Per Organizzazioni di Volontariato (ODV) e Associazioni di Promozione Sociale (APS), sono previste, invece, specifiche ipotesi di decommercializzazione delle attività svolte: rientrano in questo ambito la somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni e celebrazioni a carattere occasionale (per le ODV) e le attività istituzionali rese a fronte di corrispettivi specifici nei confronti degli associati e loro familiari conviventi (per le APS).

Con riferimento invece alla natura, commerciale o meno dell’ente nel suo complesso occorrerà tenere conto dei criteri di prevalenza indicati all’art. 79, comma 5. Sotto questo profilo lo schema generale riprende i criteri di prevalenza già espressi dal Testo unico delle Imposte sui redditi. Se i proventi derivanti dalle attività di interesse generale svolte con modalità non commerciali prevalgono su quelli derivanti dalle attività istituzionali svolte in forma di impresa e da quelle c.d. “diverse”, l’ente si considera non commerciale.

La qualificazione dell’ente in base all’articolo 79 assume dunque rilevanza centrale per individuare il regime di tassazione applicabile, in quanto da essa dipende la possibilità per gli enti del Terzo Settore (ETS) che si qualificano come “non commerciali”, di optare per regimi agevolati che consentono la tassazione forfettaria dei redditi derivanti dallo svolgimento delle attività commerciali. Tra questi vi è il regime di vantaggio previsto all’art. 80 del Codice del Terzo Settore che consente di applicare coefficienti di redditività con scaglioni crescenti in base al reddito prodotto. In caso di opzione per il suddetto regime, i redditi d’impresa saranno determinati sommando all’importo calcolato in maniera forfettaria l’ammontare delle plusvalenze, delle sopravvenienze attive, dei dividendi e interessi e dei proventi immobiliari.

Per Organizzazioni di Volontariato (ODV) e Associazione di Promozione Sociale (APS) con ricavi annui inferiori a 130.000 euro, inoltre, è prevista la possibilità di determinare il reddito d’impresa derivante dalle attività commerciali applicando dei coefficienti di redditività ridotti : 1 % per le ODV e 3% per le APS. All’opzione di tale regime sono legati, inoltre, rilevanti semplificazioni in materia IVA e sotto il profilo contabile. In particolare, le ODV e le APS che applicano tale regime non rientrano nel novero dei soggetti IVA, per cui sono esonerati dal versamento dell’imposta e dalla presentazione della relativa dichiarazione nonché dalla conservazione dei registri e dei documenti.

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Gabriele Sepio
Avvocato tributarista membro del Consiglio nazionale del Terzo settore e del Comitato di gestione di Fondazione Italia sociale - Segretario generale di Terzjus
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