Rendicontazione, tre consigli

Scritto da
Giulia Frangione
INTERVISTA A

Gli enti non profit sono tenuti a redigere numerose rendicontazioni; apparentemente questo potrebbe essere un segnale di grande trasparenza ma non è così. Il risultato sono dati frammentati ed elevati oneri amministrativi per gli enti.

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Davvero strano il destino del non profit: per mostrarsi più trasparente rischia di essere meno efficiente per il peso sempre maggiore delle rendicontazioni. Quali sono le cause e quali i rimedi? Agli enti del Terzo settore (Ets), oggetto della recente riforma, viene chiesto di redigere un bilancio dell’attività complessiva e, superato il milione di euro di entrate, di pubblicare anche il bilancio sociale, con tanto di valutazione dell’impatto sociale. I due bilanci hanno un termine «unificato» (dal 2021 entro il 30 giugno), e il legislatore ha saggiamente fatto convergere nella stessa data anche la rendicontazione delle raccolte occasionali di piazza e l’informativa relativa ai contributi pubblici. Ma continuano ad essere molto numerose le rendicontazioni che cadono in altri periodi dell’anno. Il 5 per mille, le rendicontazioni «su progetto» per attività finanziate da enti pubblici come i grant dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per le ong, oppure le diverse declinazioni territoriali degli enti pubblici (Asl ad esempio), e ancora i contributi assegnati sulla base di convenzioni o per bando da parte di enti locali (oltre 8000 Comuni, Regioni, etc).

Ogni soggetto erogante richiede rendicontazioni specifiche in periodi specifici cui vanno aggiunte regolamentazioni differenti e termini non allineati. Tutto ciò comporta due ordini di problemi: il primo è la perdita di efficienza! Se un’organizzazione deve redigere ogni anno fino a 20 rendiconti, la sua funzione amministrativa viene di continuo messa sotto pressione. Il secondo problema è la frammentarietà delle informazioni. Se devo restituire dati e informazioni per farmi leggere «in trasparenza» da «controllori» preposti e da altri stakeholder (ad esempio donatori, volontari), la parzialità e la tecnicità dei rendiconti e la loro dispersione nel tempo non permettono una lettura unitaria della mia azione.

Come superare tutto questo? Come evitare di trovarci a maneggiare dati incomprensibili ed esercizi di stile rendicontativo? Proviamo a dare due indicazioni apparentemente semplici: la prima è un umile suggerimento al legislatore il quale dovrebbe perseverare ad unificare in una sola data i diversi adempimenti. La seconda indicazione è di accelerare verso la digitalizzazione delle procedure di rendicontazione degli enti raggiungendo così tre scopi: ridurre i costi di redazione ed esame dei rendiconti, restituire alla comunità lo stato di salute del singolo ente e dell’intero comparto, proporre un nuovo linguaggio di rendicontazione non più fatto (solo) di documenti tecnici. La digitalizzazione avvicinerà le persone alla realtà complessa degli enti del Terzo settore, e non farà più sentire i donatori e i cittadini come stranieri smarriti in un mondo che cresce soprattutto grazie a loro.

Articolo pubblicato il 21 gennaio 2020 su Corriere della Sera – Buone Notizie

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