Il limbo del non profit, costi e (possibili) benefici

Scritto da
Giulia Frangione
INTERVISTA A

Quali sono i costi e i benefici della Riforma del Terzo Settore: una panoramica su cosa manca e come potrebbe impattare sul Terzo Settore.

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Da metà 2017 il non profit italiano aspetta che la riforma del terzo settore sia portata a compimento ma mancano decine di decreti attuativi, due autorizzazioni da parte della Commissione europea, oltre all’attivazione del Registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS), il luogo dove organizzazioni, cittadini ed istituzioni potranno trovare gli enti del terzo settore e le informazioni fondamentali.

Da più di due anni, e la previsione è che si rimanga in questo stato fino a fine 2020, gli enti sono chiamati a prepararsi a un cambio di paradigma che però appare incerto nel suo realizzarsi. Finché si parlava di statuti, la questione è stata relativamente semplice, anche se ci sono voluti alcuni documenti del Ministero per comprendere la reale portata degli adeguamenti. Ma se si promette al terzo settore di poter realizzare attività commerciali tassati forfettariamente, se si prospetta la possibilità di ottenere a titolo gratuito immobili pubblici, se si spinge verso i titoli di solidarietà e queste e altre novità non si concretizzano, ci si chiede se il ritardo della loro realizzazione abbia un costo stimabile.
Prendiamo per esempio il social bonus. Secondo l’art. 81 del Codice ci sarà la possibilità per gli enti del terzo settore di acquisire a titolo di comodato (quindi gratuitamente) immobili di proprietà pubblica non utilizzati per realizzare al loro interno le attività (non commerciali). I costi di recupero degli immobili possono essere finanziati dai donatori degli enti del terzo settore e ai donatori stessi sarà riconosciuto un vantaggio fiscale persino maggiore rispetto a quello riconosciuto per le normali donazioni effettuate agli enti del terzo settore.
Il social bonus rappresenta quindi una possibile leva sia di aumento delle attività sociali, che di risparmio per gli enti del terzo settore i quali potranno evitare di sostenere gli affitti. Secondo i dati del Ministero dell’Economia, aggiornati al 2015, sarebbero disponibili oltre 13 milioni di metri quadri relativi a immobili di proprietà pubblica non utilizzati. Ipotizzando aree coworking e una richiesta media e spannometrica di 80 metri quadri per singolo ente e un risparmio annuale in affitto tra 6 e 8mila euro cadauno, anche venisse destinato solo il 10% di questi spazi ad enti non profit (solo ETS), si garantirebbe al settore un risparmio tra i 97 e i 130 milioni di euro all’anno.

Più difficile da quantificare è poi il costo – opportunità derivante dal mancato avvio della normativa fiscale delle attività commerciali. Dato che gli enti del terzo settore potranno finalmente realizzare attività commerciali sia nello svolgimento delle attività di interesse generale (quelle tipiche, quindi) sia nel realizzare attività diverse – sempre commerciali -, l’aspettativa di molti enti, indipendentemente dalla loro dimensione, è quella di entrare in alcuni mercati o di formarne di nuovi grazie anche ad offerte competitive legate alla loro natura sociale.

Sono circa 70mila gli enti che potrebbero in breve tempo diventare enti del terzo settore a tutti gli effetti, ODV, ONLUS e APS. Se il RUNTS fosse operativo e se le richieste di autorizzazione fossero state mandate alla Commissione – e questa avesse dato l’ok alle regole fiscali, queste realtà avrebbero già potuto misurarsi con la norma, promuovere al proprio interno una serie di professionalità legate all’amministrazione, al fundraising e al marketing, incrementando peraltro il già alto numero di addetti del settore. Ma soprattutto avrebbero dato una spinta notevole al perseguimento delle finalità sociali, sanitarie, culturali e di ricerca scientifica che tanto ci stanno a cuore.

Articolo pubblicato l’11 settembre 2019 sul Sole 24 Ore

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