Dopo anni di legislazione speciale, circolari e decreti ad hoc possiamo finalmente contare su un percorso di normalizzazione, iniziato nel 2014 e tuttora in corso. Una nuova e unitaria normativa di riferimento con regole che semplificano e rendono più efficace l’attività delle oltre 350.000 realtà attive quotidianamente nel Terzo Settore. Parte cospicua di questo percorso coinvolge una delle attività principali delle organizzazioni: il fundraising.
Sono convinto che questa operazione rappresenti una svolta epocale per il fundraising italiano governandone gli esiti per i prossimi anni con l’auspicio che possa fare chiarezza su una attività poliedrica e ancora in fase di accettazione all’interno del differenziato mondo del non profit. Ad oggi siamo a metà del guado, due risultati rilevanti già conquistati e una finestra aperta su quello che ha da venire partendo dall’esperienza Covid.
Il primo risultato, sancito dal Codice del Terzo Settore, è stato quello di introdurre per la prima volta nel quadro normativo un articolo dedicato alla raccolta fondi. All’articolo 7 comma 1 si legge “Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva.” Può sembrare cosa da poco, ma questa definizione sottintende la rappresentazione di un “complesso” di attività non più confinate ad un singolo evento ma, come si leggerà nel comma 2, prevede anche un processo “organizzato e continuativo”, ovvero strategico, e impostato per durare e ottenere risultati nel medio-lungo termine, proprio perchè volto non a risolvere ed esaurire un problema contingente, ma finalizzato a rendere sostenibili nel tempo le “attività di interesse generale”. Un pieno riconoscimento formale quale attività necessaria, e non residuale. E questo processo impostato prevalentemente sull’animus donandi, caratteristica che differenzia e agevola le attività delle organizzazioni non profit nei confronti dei loro stakeholder, include anche attività corrispettive come le raccolte pubbliche e occasionali di fondi che prevedono cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore.
Secondo risultato essenziale, a mio avviso, riguarda l’enunciazione dei tre principi cardine (verità, trasparenza e correttezza) a cui le organizzazioni dovranno attenersi nel rapporto con i loro donatori. Principi fondamentali che, già prima della normativa, ogni fundraiser applicava aderendo al codice etico professionale. Questa indicazione, di cui si attende il dettaglio nelle Linee Guida alla Raccolta Fondi di prossima uscita, non solo farà crescere e professionalizzare le organizzazioni nella loro relazione fiduciaria e di garanzia verso i donatori, ma faciliterà la posizione dei fundraiser nel loro duplice rapporto di tutela delle istanze dell’organizzazione e delle istanze dei donatori. E’ un passo fondamentale per comprendere quanto il fundraising sia una attività che non può essere apprezzata solo per i risultati economici e prestazionali, proprio perchè si svolge all’interno di una dimensione relazionale il cui risultato più importante è la creazione di quei legami fiduciari, quei “beni relazionali” che mantengono coese le comunità.
Le Linee Guida sulla Raccolta Fondi imprimeranno un’ulteriore svolta in questa direzione offrendo spunti preziosi e delineando il solco in cui il fundraising potrà svilupparsi. E in questo solco andranno inserite oltre alle attività tipiche di raccolta basate sulla pura donazione anche strumenti ormai consolidati: dal 5×1000 al cause related marketing, dal merchandising alle aste di beneficenza e lotterie.
L’evoluzione tecnologica delle relazioni con l’avvento dei social network, o più nello specifico strumenti come il crowdfunding e il personal fundraising, la linea di demarcazione sempre più sottile tra profit e non profit con la nascita delle imprese sociali e la crisi economica e di sistema, rendono il fundraising una professionalità fluida che nei prossimi anni dovrà adeguarsi ai nuovi contesti e rendersi capace di attingere professionalmente ai nuovi strumenti e alle nuove circostanze. Non sarà più sufficiente, da sola, la buona volontà nel rapporto con i donatori che sono diventati giustamente più esigenti.
La cultura del fundraising si sta diffondendo e continuerà a farlo coinvolgendo sostenitori e organizzazioni ed entrambi dovranno tenere il passo di questa rivoluzione innovandosi e trovando sempre un punto di incontro basato sulla fiducia e sulla relazione. La pandemia, pur nella sua tragedia, ci ha insegnato che obiettivi ritenuti irraggiungibili possono concretizzarsi in poco tempo a patto che ci sia una presa di coscienza collettiva. Paradossalmente i risultati straordinari delle raccolte fondi del periodo Covid, superando il miliardo di euro, ci dicono che i donatori sono più preparati a metabolizzare questo cambiamento di quanto non lo siano la maggior parte delle organizzazioni. E’ il momento di cambiare, è il momento di innovare, ci è offerta l’opportunità di far crescere il settore e in questa rivoluzione giuridica, fiscale e culturale il fundraiser avrà un ruolo e una responsabilità di primo piano.
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