Riforma: intervista a Granata, Presidente di Confcooperative Federsolidarietà

Stefano Granata
INTERVISTA A
Stefano Granata
Presidente di Confcooperative Federsolidarietà

Il concetto di Impresa sociale, con la Riforma, diventa una sorta di evoluzione di ciò che adesso è la cooperazione sociale e ne apre il perimetro: nella sua intervista per il progetto Riforma in Movimento, il Presidente di Confcooperative Federsolidarietà condivide la sua esperienza e visione sul cambiamento in atto.

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Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione sul Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)?

Ovviamente io parlo da un punto di vista abbastanza preciso, quello della cooperazione sociale, realtà che rappresento. Per me uno degli aspetti più innovativi della Riforma è stato il concetto di impresa sociale, che diventa una sorta di evoluzione di ciò che adesso è la cooperazione sociale e che ne apre il perimetro. Un altro punto innovativo è senza dubbio il Servizio Civile Universale, le varie forme di servizio civile sono da sempre un bacino dove il mondo delle cooperative sociali trova nuove risorse e innovazione, e il nuovo servizio civile universale rappresenta quindi per noi una grande conquista.  

 

Qual è l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione sul Terzo Settore?

Sempre rimanendo sul piano dell’impresa sociale, l’elemento che più mi preoccupa è la sua definizione fiscale. L’impresa sociale in questo momento secondo me è una grandissima opportunità, non solo per il mondo della cooperazione sociale, ma per il nostro paese in generale. Però purtroppo se non c’è una definizione dell’impianto fiscale dell’impresa sociale rimane un’opportunità mozzata. 

 

Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la Riforma, crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore?

Io penso che da questo punto di vista la riforma abbia dato spazio in maniera sostanziosa a questi tre elementi, parlo sempre dal punto di vista del fattore impresa sociale. Mi soffermerei di più sul tema della partecipazione, elemento che è stato molto implementato anche attraverso l’impresa sociale. Per chi viene dall’esperienza della cooperativa sociale “una testa, un voto”, quindi molto radicale come termine di partecipazione, oggi l’impresa sociale rappresenta una veste più moderna della partecipazione. Non è semplicemente una partecipazione data dal principio capitario dentro la società, ma da tanti istituti che riconoscono sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche di poter partecipare. Infatti l’impresa sociale potrebbe essere tranquillamente una forma societaria anche di partecipazione pubblica e privata. Direi che questo è un punto di grande evoluzione. E guardando al panorama europeo, anche dal punto di vista legislativo, è probabilmente una delle formule più evolute e più moderne.

Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della riforma del Terzo settore?

In quanto federazione di rappresentanza ci siamo assunti un ruolo di informazione e di accompagnamento sia durante l’elaborazione della Riforma che nelle fasi successive. Durante l’elaborazione poiché alcuni elementi della Riforma erano per noi essenziali poiché andavano a toccare i punti costitutivi della cooperazione sociale, movimento che in Italia ha raggiunto dei numeri significativi anche nel panorama internazionale. Nei passaggi successivi invece abbiamo fatto un lavoro di aggiornamento importante, partendo dai livelli nazionali e arrivando a coinvolgere anche i livelli più territoriali.

 

Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della Riforma del Terzo Settore?

È stato molto impegnativo. Siamo stati chiamati, nelle nostre funzioni di rappresentanza, a dare dei contributi durante la riforma, spesso e volentieri con audizioni, incontri, dibattiti e quant’altro. Siamo stati chiamati in causa perché ci riguardava in prima persona come partecipanti del movimento della cooperazione sociale e in quanto ente rappresentante. Ci ha visto molto impegnati, e anche molto coinvolti, soprattutto nello sviluppo e nell’incrocio della cooperazione sociale con l’impresa sociale.

 

L’avvio della riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura  giuridico e organizzativa della sua associazione?

Lo è stata per il movimento della cooperazione sociale in generale, che in termini molto semplici, ha rimesso a fuoco quella che era la mission della cooperazione sociale che negli anni si era persa, un po’ dovuto anche allo stimolo dal mercato pubblico. Questo è stato fatto soprattutto riponendo la domanda nel senso dell’oggi. Oggi c’è una domanda diversa da quella di 20 o 30 anni fa, quando è nata la cooperativa sociale, e quindi in qualche maniera è stata l’occasione per attualizzare la mission. Inoltre, in termini associativi per la nostra federazione, si è aperta una questione molto diversa. Noi abbiamo sempre rappresentato la forma cooperativa, oggi invece l’apertura anche all’impresa sociale, che non è detto sia in forma cooperativa, ci ha costretti a rivederci anche dal punto di vista organizzativo ad aprirsi a forme nuove.

 

Ritiene che gli art.55 e 56 del CTS , nonché la recente sentenza n.131/2020 della Corte costituzionale possano aprire per la sua organizzazione nuove opportunità di dialogo istituzionale nonché l’avvio degli strumenti di co-programmazione e co-progettazione con la Pubblica Amministrazione?

Il rapporto con la Pubblica Amministrazione negli ultimi anni si è molto basato su un sistema competitivo dove alla base troviamo la gara d’appalto. La riforma introduce un nuovo strumento, un elemento più collaborativo.  Questo elemento collaborativo, che è tipico del terzo settore, ricostruisce una relazione tra soggetti pubblici e privati. Però rappresenta solo un punto di partenza, non di arrivo. Come tutti gli strumenti nuovi, deve essere conosciuto, posseduto e diffuso. Bisogna avere le competenze per poterlo applicare. Siamo arrivati a un punto importante da dove si può riparte, bisogna poi, sia dal pubblico che dal privato, avere le competenze per utilizzare questo strumento nella maniera più corretta o più proficua

 

La riforma ha previsto la nascita delle “reti associative”. Come valuta questa innovazione? E in che modo  le reti associative potranno assolvere ai nuovi compiti a loro attribuiti?

Da ogni punto di vista, oggi chi non si aggrega e non costruisce reti, pur magari avendo delle eccellenze di per sé, mostra un po’ il suo punto debole. Se non sei in grado di costruire reti sei poco efficace. Quindi la nascita delle reti associative rappresenta un aspetto innovativo e molto interessante, che però come tutte le cose va saputo dosare bene, non bisogna autorizzarlo solo per la sua strumentalità. Spesso e volentieri si costruiscono reti associative che sono però prive di contenuto, solo se le reti associative vengono impregnate di un contenuto e di una mission, al di là del bene strumentale, rappresentano uno strumento davvero innovativo.

 

L’emergenza che stiamo vivendo ha fatto crescere nuovi bisogni che la Riforma del Terzo Settore non aveva previsto di coprire, o per i quali non ha strumenti adeguati?

In verità, secondo me, non si è capito ancora a pieno della potenzialità della Riforma. Ci sono alcuni punti espliciti e chiari al pubblico, ma ci sono anche punti che lasciano il campo aperto. Proprio su questi ultimi le realtà del Terzo Settore non hanno ancora capito a pieno la potenzialità intrinseche della Riforma, un po’ anche perché mancano ancora dei decreti attuativi, elementi definitivi e chiarificatori. Durante l’emergenza ho assistito a innovazioni molto utili che tranquillamente possono essere rivestite all’interno della Riforma, ma magari a volte non c’è pienamente consapevolezza di questo perché c’è ancora scarsità di conoscenza e di padronanza degli elementi di innovazione. Un esempio abbastanza banale è il documento del recovery, l’ultimo presentato. Qualcuno lamentava che in questo si parlava poco di Terzo Settore, in verità se uno legge attentamente ci sono tantissimi titoli sui quali può interagire col Terzo Settore grazie ai nuovi strumenti forniti dalla Riforma. Anche qui è essenziale l’aggregazione ovviamente. 

 

Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della riforma del terzo settore?

Direi proprio di sì. Più che gli effetti della Riforma, io parlerei del “post Riforma” ormai, perché continuare a parlare di Riforma si ha l’impressione che siamo tutti ancora fermi al giorno in cui è stata promulgata e invece secondo me delle evoluzioni ci sono state, soprattutto dal punto di vista di chi è direttamente sul campo. In particolare, anche costretti dall’emergenza pandemica, alcune associazioni si sono evolute e sono cambiate, queste in particolare secondo me andrebbero monitorate. Capire quanti cambiamenti ci sono stati è importante, non solo per un dato statistico, storico o di narrativa, ma soprattutto di orientamento su quelle che possono essere delle indicazioni per il futuro.

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