Riforma in Movimento: intervista a Ugo Bellini

Ugo Bellini
INTERVISTA A
Ugo Bellini
Presidente facente funzioni della Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia

All’interno del progetto di ricerca Riforma in Movimento si vuole andare a creare un dialogo con le istituzioni per accompagnare la Riforma del Terzo Settore nella sua crescita il più possibile positiva e adeguata. Il Dott. Ugo Bellini, Presidente facente funzioni della Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia, condivide con noi l’esperienza della sua associazione.

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Qual è, a suo avviso, l’elemento più innovativo/promettente della nuova legislazione sul Terzo Settore (Codice del Terzo Settore, Impresa Sociale, 5×1000, Servizio Civile Universale)? 

A mio avviso uno dei meriti più significativi della  Riforma del Terzo Settore è stato quello di aver definito chiaramente e compiutamente il Terzo Settore. Fino all’entrata in vigore del Codice l’ente del Terzo Settore esisteva da tempo e si adoperava per il soddisfacimento dei bisogni della gente, specie di quella più svantaggiata ed emarginata, la normativa era caratterizzata da una impostazione di settore, un approccio che aveva disegnato una disciplina delle organizzazioni calibrata sulle singole figure organizzative; oggi abbiamo anche una precisa definizione normativa, data dal diritto positivo, non solo una realtà socio economica ma un rapporto organico tra diritto civile e diritto tributario. Accanto a questo valuto positivamente anche la definizione della figura del volontario che l’intera produzione normativa degli anni ’90 non aveva definito, limitandosi ad enucleare le caratteristiche fondamenti dell’organizzazione di volontariato e le regole nei rapporti tra gli enti e la pubblica amministrazione. Sia la legge sulla promozione sociale, che quella sulla cooperazione sociale non dava una definizione di volontario. Oggi questa impasse è stata brillantemente superata. 

Qual è l’elemento che più la preoccupa riguardo la nuova legislazione sul/ Riforma del Terzo Settore? 

Certamente una complicazione generale nella gestione degli enti, complicazione che può diventare un ostacolo difficilmente superabile per le associazioni di più piccole dimensioni. Infatti, nonostante le semplificazioni, dal punto di vista della tenuta della contabilità, che si sono volute giustamente introdurre per gli enti di più piccole dimensioni, le interferenze di natura tributaria complicano il quadro. Ad esempio vorrei far porre l’attenzione sul fatto che l’applicazione dell’articolo 79 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi), comma 2, nel quale le attività di interesse generale sono ‘non commerciali’ quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, obbliga tutti gli ETS a dover tenere una contabilità per centri di costo, introducendo una complicazione operativa di un certo rilievo che rischia di generare anche un aggravio di costi di gestione che vanno a detrimento delle risorse a disposizione per l’attività istituzionale. 

 

Sostenibilità, trasparenza e democraticità sono gli assi principali su cui si è mossa la  Riforma, crede che siano stati ben strutturati e articolati all’interno di essa? Tra questi, quali pensa debba essere maggiormente promosso tra gli enti del Terzo Settore? 

Si deve riconoscere che il codice del Terzo Settore ha introdotto importanti novità su tutti e tre gli aspetti, pur cercando di salvaguardare il principio di ‘autonomia organizzativa’ degli enti. Certamente per quanto riguarda la sostenibilità si poteva fare qualcosa di più, ma ciò si scontra con la disponibilità di risorse in un quadro economico nazionale molto complicato. È

stata imposta dal legislatore grande trasparenza, in quanto agli associati è stato garantito il diritto di ispezione dei libri sociali, compresi quelli delle deliberazioni degli organi di amministrazione e di controllo, contemperando tale esigenza con la previsione di modalità di consultazione stabilite dallo statuto associativo. L’immanenza del principio di democraticità, la regola del voto capitario, derogabile solo per gli ETS di più grandi dimensioni, legittimano forme di democrazia indiretta al solo fine di rendere possibile e più efficace il governo di associazioni con un numero molto consistente di associati. Sicuramente una valutazione positiva. 

Qual è stato il ruolo della sua rete/ente nell’informare e comunicare agli associati le principali novità, opportunità ed adempimenti della  Riforma del Terzo Settore? 

Sia nella fase di produzione normativa che nel periodo successivo alla pubblicazione dei decreti legislativi sul Terzo Settore, la Confederazione ha prodotto circolari informative e ha organizzato incontri di informazione sulla  Riforma su tutto il territorio nazionale. Già da questo mese sono in programma alcuni ‘focus’ informativi e formativi su alcuni punti fondamentali della  Riforma, organizzati dal nostro ufficio formazione in collaborazione con l’area consulenze. Il programma prevede webinar sul Registro unico nazionale del Terzo Settore, sui nuovi modelli di bilancio, sulla parte fiscale. 

Quanto è stato impegnativo seguire l’evoluzione della  Riforma del Terzo Settore? 

Molto impegnativo certamente. Sia dal punto di vista dello studio e analisi dei testi in elaborazione che della possibilità di interlocuzione con i diversi player della  Riforma, fattispecie resa ancora più complicata nei tempi nel quali la delega al Governo era in scadenza. 

L’avvio della  Riforma è stata l’occasione per un ripensamento della missione oltre che di un adeguamento della struttura giuridico e organizzativa della sua associazione? 

Parlare di un ripensamento della missione in una organizzazione che fonda le sue radici nel medioevo è affermazione piuttosto complessa. Certamente anche le Misericordie si sono dovute confrontare con l’evoluzione dei tempi e penso decisamente che lo abbiano fatto in modo egregio ma, le stesse Misericordie nascono e vivono nel segno delle opere di misericordia, corporali e spirituali, sono certo che questa missione rimarrà ancora viva e fervida. Altra cosa è l’adeguamento della struttura giuridica e organizzativa dell’ente che nel corso degli ultimi anni spesso è stata più che una opportunità una imposizione necessaria per adeguare la configurazione giuridica ad una normativa di settore che rimaneva ancorata, dal punto di vista fiscale, alla verifica della commercialità o meno dell’attività esercitata e non alle finalità meritorie che l’ente andava raggiungendo. Limitazione questa che, purtroppo, neanche la  Riforma del Terzo Settore è riuscita a superare, nonostante l’assist importante fornito dal legislatore delegante. La via di uscita dell’impresa sociale è certamente una soluzione ‘tecnica’ fiscalmente ‘conveniente’, ma come sottacere le differenze che sottostanno ad una diversa impostazione tra concezione imprenditoriale, pur sociale e quella strettamente associativa? Come non considerare le nette differenze come ad esempio la necessaria prevalenza dei retribuiti sui volontari? 

Ritiene che gli art.55 e 56 del CTS , nonché la recente sentenza n.131/2020 della Corte costituzionale possano aprire per la sua organizzazione nuove opportunità di dialogo istituzionale nonché l’avvio degli strumenti di co-programmazione e co progettazione con la Pubblica Amministrazione? 

La  Riforma del Terzo Settore ha dato un notevole impulso sia a nuove opportunità di dialogo istituzionale, sia a nuove possibilità di interazioni operative. La  Riforma si innesta in un sistema molto complesso che ha visto nel passato numerosi interventi, sia normativi partendo dall’attuazione del principio di sussidiarietà di cui alla legge n. 328/2000, sia di natura giurisprudenziale. Sia la co-programmazione che la co-progettazione sono strumenti che prevedibilmente assicureranno un coinvolgimento attivo degli enti del Terzo Settore. Ma non dobbiamo dimenticare che il nuovo Codice fa anche riferimento alle convenzioni per lo svolgimento di attività e di servizi di interesse generale, definendo poi anche una regolamentazione ad hoc delle modalità di affidamento del servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, in via prioritaria, alle organizzazioni di volontariato. Vi è quindi la costruzione di un sistema strutturato e ben pensato, con fasi distinte, con le quali si declinano le forme di relazione tra la pubblica amministrazione e il privato sociale, partendo dalla programmazione e dalla progettazione fino ad arrivare all’attuazione, certamente un fatto positivo. 

Come valuta la definizione sul piano normativo della figura del “volontario”? Il nuovo status del volontario definito dal Codice può essere uno strumento utile a qualificare meglio l’opera dei volontari? 

L’aver dato una compiuta definizione alla figura del volontario deve essere valutato con estrema soddisfazione, così come per le norme previste dall’articolo 19 in relazione alla promozione della cultura del volontariato, con il riconoscimento di crediti formativi in ambito universitario e il riconoscimento delle competenze acquisite nell’attività di volontariato in ambito lavorativo. Per l’attuazione di tali provvidenze a favore del volontario sono però necessarie l’emanazione di provvedimenti ministeriali che speriamo di non dover attendere ancora per molto tempo. Suscita invece una certa perplessità l’aver voluto dare riconoscimento ad altre forme di volontariato non esercitate tramite enti del Terzo Settore, l’introduzione del concetto di volontario occasionale ed il grande tema della possibilità di ‘autocertificare’ i rimborsi spese. Aspetti questi sui quali si dovrebbe fare una riflessione più approfondita. 

La ministra Catalfo ha recentemente annunciato la prossima approvazione del Regolamento delle “attività diverse”. Pensa che questa innovazione, contenuta nell’art. 6 del CTS, possa facilitare lo sviluppo di “attività diverse” nella sua organizzazione, come leva per finanziare le attività di interesse generale? 

Per quanto concerne le organizzazioni di volontariato in generale, il tema della regolazione delle modalità di svolgimento delle cosiddette attività diverse, va letto in stretta correlazione con il limite che il legislatore ha voluto imporre al volontariato con l’articolo 33, comma 3 del Codice. Qui in effetti il legislatore introduce una sostanziale differenza nella possibilità di libero svolgimento delle attività di interesse generale, particolarità prevista solamente per le organizzazioni di volontariato. La prima stesura del testo di legge prevedeva che “Per l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere, soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate”. La norma di prima scrittura poneva un serio limite alla possibilità delle nostre associazioni di poter effettuare tali attività che, potendo remunerare esclusivamente tali costi, avrebbero avuto gravissime conseguenze dal punto di vista della sostenibilità. Non si capiva come in tal caso il legislatore avesse potuto contemperare la scrittura di tale norma con la caratteristica della promozionalità che contraddistingue il Codice del Terzo Settore. Con il decreto correttivo del 2018 è stata posta una toppa a tale incongruenza, prevedendo una deroga, introducendo il secondo periodo al comma 3 dell’articolo 33 che prevede che, tali attività di interesse generale con un ricavo superiore al costo, siano legittime quando siano svolte quali attività secondarie e strumentali nei limiti di cui all’articolo 6. Così il legislatore ha voluto che, solamente per le organizzazioni di volontariato, l’attività di interesse generale debba essere svolta, qualora il ricavo superi i costi, con i requisiti previsti per le attività secondarie. Una scelta poco lungimirante se mai condivisibile. Sicuramente il regolamento sulle attività diverse, nella stesura ad oggi conosciuta, può facilitare lo sviluppo di tali attività e il loro sviluppo può certamente fare da leva finanziaria positiva per alleviare il gap negativo che storicamente è caratteristico delle attività con finalità meritorie. Invece per quanto riguarda le attività delle Misericordie in particolare e anche in questo caso, la bozza di regolamento può essere di aiuto. Le Misericordie più antiche svolgono infatti alcune opere di misericordia particolari quali quelli relativi alla sepoltura dei morti. Fonti storiche e documentali ci testimoniano l’impegno delle Misericordie relativamente al culto dovuto ai defunti e al loro seppellimento. Nei secoli siamo stati impegnati nel trasporto dei morti e nella cura dei servizi cimiteriali, accentuando l’esercizio delle opere di carità, come luogo consacrato al dolore umano. Spiace vedere che il legislatore non abbia tenuto conto nell’elencazione delle attività di interesse generale di questi servizi che, per radicate tradizioni locali, sono da sempre affidate anche alle organizzazioni di volontariato. Averle relegate al genus delle attività diverse stona con la tradizione plurisecolare che le misericordie hanno su tali servizi.

La  Riforma ha previsto la nascita delle “reti associative”. Come valuta questa innovazione? E in che modo le reti associative potranno assolvere ai nuovi compiti a loro attribuiti? 

Assolutamente positiva è la nostra valutazione in merito all’introduzione della figura giuridica delle reti associative che vanno a valorizzare e a riconoscere le organizzazioni che al loro interno associano un certo numero di enti del Terzo Settore, anche allo scopo di accrescere la loro rappresentatività presso i soggetti istituzionali. Attraverso le reti associative, nei fatti già presenti anche prima della loro individuazione normativa, si sviluppano e si consolidano le azioni di scambio, di coordinamento e di condivisione delle iniziative con la conseguenza moltiplicatoria di accrescere la capacità di azione dei singoli associati. Per quanto poi relativo alle reti associative di carattere nazionale sarà fondamentale il loro esercizio dell’attività di monitoraggio degli enti affiliati nonché di promozione e sviluppo dell’attività di controllo, anche sotto forma di autocontrollo e di assistenza tecnica nei confronti degli enti associati. Per quanto riguarda le modalità con le quali svolgere i compiti attribuiti alle reti associative se ne raccomanda, per quanto possibile, la libera scelta della forma da parte degli enti stessi, tenendo ben saldi gli obiettivi che le pubbliche istituzioni intendono raggiungere. Non dobbiamo fare l’errore di considerare gli enti appartenenti all’universo del non profit alla stregua di quello relativo alle imprese commerciali ed è pericoloso e fuorviante applicare tout court , come fatto in alcuni passi del nuovo Codice, istituti giuridici tipici e modellati per le società. Siamo un altro mondo e vogliamo preservare le nostre specificità. 

Reputa opportuni e necessari un monitoraggio e una valutazione continuativi dello stato di attuazione della  Riforma del Terzo Settore? 

Reputiamo opportuno e assolutamente necessario un attento monitoraggio continuativo dello stato di attuazione della  Riforma e una costante informazione anche sulla valutazione 

che dello stesso ne viene fatta. Oltre a ciò riteniamo fondamentale andare ad investigare, tempo per tempo, gli impatti che il nuovo impianto normativo ha sulle stesse associazioni, anche riguardo agli adattamenti gestionali ed organizzativi che impone e relativamente alle loro ricadute in termini di incrementi di costi.

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