Un nuovo paradigma

Carlo Mazzini
Scritto da
Carlo Mazzini
INTERVISTA A

Da quando si è iniziato a disquisire intorno alla Riforma del Terzo Settore si è detto che rappresenta un cambio di paradigma: ci sarà un prima e un dopo. Ma cosa comporta questo nella quotidianità degli enti non profit, futuri enti del Terzo Settore?

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Si è detto, nei mesi e negli anni trascorsi dal primo vagito della Riforma, che la grande legge del non profit avrebbe segnato un prima e un dopo, che avrebbe rappresentato un nuovo paradigma.

Detto che era dai tempi del liceo che non sentivo parlare di paradigma, nell’accezione post-scolastica il termine assume il significato di rimodellamento e rinnovamento delle regole. E cosa ci si poteva aspettare da un complesso di norme (fermandoci ai soli 4 decreti legislativi) che assommano 161 articoli e spaziano dal servizio civile universale, al 5 per mille, dall’Impresa Sociale al Codice del Terzo Settore?

Che le numerosissime regole diano una nuova forma al non profit italiano mentre cancellano quelle vecchie appare ovvio.

Meno ovvia è la direzione del paradigma: in cosa consiste il nuovo paradigma, quale nuova forma prenderà il non profit italiano?

Possono essere dibattuti due contesti: quello macro, cioè come cambierà il ruolo del Terzo Settore nella società italiana, e quello micro, ovvero come cambierà la vita delle singole organizzazioni non profit.

Il primo contesto è insondabile, per chi scrive, notoriamente poco esperto di futurologia. 

Sul secondo contesto, quello micro, mi azzardo a segnalare che il cambio di direzione, il nuovo paradigma, passa da un cambio di verbi servili. In buona sostanza, il non profit, per chi l’ha amministrato finora, veniva declinato con un continuo riferimento “posso/non posso”. La domanda da più di 20 anni che i decisori delle organizzazioni dovevano farsi era (e la è ancora per un po’) se una certa attività si potesse esercitare oppure no. Le attività commerciali; quelle connesse per le Onlus; le istituzionali (sempre per le onlus); gli ambiti territoriali. Solo per citare alcune questioni, ma vi assicuro che ce ne sono da riempire l’Enciclopedia Britannica. In questo lasso di tempo che parte dalla prima legge speciale (1987) sulle ONG – per tacere del codice civile del ’42 – e arriva ai giorni nostri, il grosso dilemma è stato “cosa posso fare” che sottintendeva “… e cosa non posso fare”.

Il legislatore, per ragioni diverse non sempre commendevoli, ha scientemente limitato il campo d’azione delle non profit, frenando un settore che in termini sociali ed economici avrebbe potuto dare molto di più alla comunità.

Ora il paradigma sembra davvero cambiare e si passa dalla vetusta coppia “posso/non posso” alla frizzantina “voglio/non voglio” o, per dirlo più chiaramente, “mi conviene/non mi conviene”.

Dalla moltiplicazione dei settori d’intervento, alla definizione finalmente esplicitata della raccolta fondi, dalle attività diverse, ad una serie di strumenti innovativi come il social bonus, i titoli di solidarietà, per non parlare delle briglie finalmente sciolte concesse all’Impresa Sociale; strumenti e opportunità che le organizzazioni saranno nella libertà di cogliere, ognuna secondo le proprie aspirazioni e capacità. Esistono di certo limiti e prescrizioni nell’esercizio delle attività, ma se un ente (volontariato, onlus, o di altro tipo) simulasse l’applicazione della Riforma nella propria personalissima specificità, comprenderebbe che gran parte di ciò che prima non gli era permesso ora lo può fare. Va bene, “ora” è termine che suona leggermente beffardo, essendo passati ben 6 anni da quando venne comunicata la volontà di cambiare il non profit e le sue regole e trovandoci ancora in un eterno limbo.

Ma se davvero ci stiamo avvicinando all’ora X della partenza della grande riforma, non c’è che prepararsi ad accogliere, e meglio ancora comprendere, quali e quante nuove attività potremo realizzare grazie ai 161 articoli.

La domanda che potremmo farci, tra le tante, è chi vestirà i panni del contro-riformatore. Chi remerà contro? A livello di sistema, temo, avendone già avute ampie prove, che saranno i livelli locali della pubblica amministrazione a tentare di ridurre la portata rivoluzionaria della riforma.

Sarà compito dell’amministrazione centrale e delle rappresentanze del Terzo Settore far capire che la musica è cambiata, e che, per il bene di tutti, si è passati da un’onesta mazurca ad un più trascinante rock.

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Carlo Mazzini
Esperto di legislazione degli enti non profit e fiscalità
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