E se in tutti questi anni avessimo sbagliato a dare il nome alla “cosa”?
Torno sul tema della trasparenza perché, come per tutte le cose alle quali teniamo, è bene comprenderle a fondo senza banalizzarle.
Ma come ogni tema rilevante per il non profit (e non solo), la sua ripetizione continua e soprattutto a sproposito, porta alla nausea, al “non se ne può più”, indebolendo quindi la rilevanza del concetto. Chi non teme di essere coperto da una bordata di fischi se di questi tempi aggiunge al suo discorso la parola “resilienza”? Quante volte siete stati presi da attacchi di panico quando avete sentito il relatore parlare di “sussidiarietà”? E volete discutere ancora di “welfare generativo” ma avete il timore – giustificatissimo – di vedere gli occhi dei vostri interlocutori volgersi verso l’alto con l’espressione di chi pensa “… eccone un altro che ci parla delle magnifiche sorti e progressive del welfare generativo!”?
Se da un lato il tema della trasparenza è interessante, dall’altra, quando diventa un totem prezzemolino, la gente è portata a sbuffare, a ritenere che il discorso che seguirà sarà la riedizione degli ultimi cinque webinar e dodici articoli.
Il problema risiede nel fatto che il concetto davvero è stato elevato a totem (qualcosa da adorare per la sua sola presenza) e che per la sua pervicacia sia più infestante di un politico in un talk show, più fastidioso di una suocera al pranzo di Natale: un vero e proprio prezzemolino.
Quindi, la trasparenza – detta anche accountability da chi fa sfoggio di viaggi giovanili in paesi anglofoni – è un concetto che deve essere liberato dalla sacralità e restituito al suo valore reale.
Per dare un nuovo nome alla “cosa”, propongo di associarla non ad un aggettivo (la nuova trasparenza, la vera trasparenza – che sa di “ora siamo arrivati noi a dire come bisogna fare le cose”) ma ad un altro concetto, semplice ma non banale, quale è quello di chiarezza.
Seguitemi un attimo, non è difficile.
Se pubblico sul mio sito il bilancio con tutti gli annessi e connessi (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, nota integrativa ecc.) i supertecnici capiranno molto, gli amministratori professionisti faranno le loro considerazioni, tutti gli altri (il 97% ad essere ottimista) crederanno fideisticamente a quello che c’è scritto, non capendone una sola riga, ma facendo “sì” con la testa come i pupazzetti sul cruscotto delle macchine.
È trasparenza? Certo, per il 100% dei lettori.
È chiarezza? Assolutamente no per il 97%, tra i quali troviamo i donatori, i soci, gli altri portatori d’interesse (amministratori pubblici, ecc).
La domanda di fondo è la seguente: preferiamo che ciò che succede in una non profit (e che può essere di interesse comune) sia visibile oppure che sia comprensibile? Va bene, è una domanda retorica, ma dovevo porla alla vostra attenzione per marcare la differenza tra ciò che vediamo e ciò che capiamo.
Abbiamo livelli di competenza differenti, e non ci si può nascondere dietro alla scusa “sono argomenti complessi”! Nella vita tutto è complesso.
Quando sento tecnici dire che le questioni tecniche non sono riducibili ai minimi termini, mi viene il sospetto o che non le conoscano neppure loro così bene (è la mia parte cattiva), o che non comprendano che ciò che è patrimonio di tutti deve essere reso accessibile a tutti, almeno nella comprensione.
Come è possibile che fisici teorici ci facciano intuire i funzionamenti della meccanica quantistica, che storici plurimedagliati ci appassionino all’epopea dei merovingi, che divulgatori naturalisti ci tengano attaccati allo schermo per scoprire il fantastico viaggio dello scarabeo stercorario, e non si trovi un’anima pia disposta a spiegarci come si legge un bilancio degli enti non profit, come si interpreta uno statuto, come si applica una legge?
La trasparenza ci consente di accedere a delle informazioni ma non necessariamente a capirle, ragione per cui il più delle volte abbiamo bisogno di un mediatore culturale che traduca per noi quelle informazioni.
Il non profit è stato chiamato dal legislatore ad essere più trasparente (totem!), tanto è vero che la gran parte degli adempimenti del Codice del Terzo Settore spingono alla pubblicazione online di molte informazioni nel mitico RUNTS e sui siti degli enti. Bene. Ma il legislatore è il primo a rendere complicate le cose complesse, e ionescamente è arrivato a redigere nel 2001 una Guida alla redazione dei testi normativi – spesso peraltro disattesa dagli uffici legislativi dei ministeri – che è la summa della “complicazione affari semplici”.
Tornando al non profit, sorvolando sugli schemi di bilancio d’esercizio – con errori marchiani annessi – e le vecchie rendicontazioni 5 per mille (veri e propri esercizi di nonsense), un passo in avanti potrebbe essere il Bilancio Sociale, anche se spiegato “alla sua maniera” dalla burocrazia ministeriale (vedi le Linee Guida).
Ce la faranno i nostri “eroi” (le organizzazioni non profit) a rendere chiara la lettura di attività complesse, facendo convergere dati finanziari con trend sociali e informazioni qualitative?
Se l’obiettivo sarà la chiarezza, ce la faranno eccome! La trasparenza, ripeto, serve solo a non nascondere i dati, non a renderli veramente accessibili!
Poi, certo, ci sarebbe la questione della Valutazione dell’Impatto Sociale, ma non vi preoccupate; non va certo nella direzione della chiarezza, ma verso la banalizzazione. Se mi ritenete prevenuto, avete ragione; ma prima di bacchettarmi, fatevi cogliere da narcolessia leggendo le Linee Guida sull’Impatto Sociale!
Quindi, Trasparenza e Chiarezza; questo il binomio vincente del non profit. E forse non solo di quello.
Trasparenza e chiarezza: il nome giusto della cosa.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. È vietato qualsiasi utilizzo, totale o parziale, del presente documento per scopi commerciali, senza previa autorizzazione scritta di Italia non profit.