Cosa significa per una organizzazione concentrarsi sul donor love?
Il Donor Love è un modo per indicare “tutte le cose” che possiamo fare per costruire una relazione gratificante e duratura con i nostri donatori. Un modo meno romantico di chiamare il Donor Love nel non profit è Donor Care, nel mondo profit è Customer Care.
Perché questo approccio e questa differenziazione da qualcosa di già conosciuto?
Chi sostiene le organizzazioni lo fa per sentirsi utile e il nostro compito è valorizzare il rapporto che queste persone – i nostri sostenitori – hanno con noi, di farli sentire importanti come effettivamente sono. Spesso negli enti e nelle campagne si sente questo slogan – abusato – che è “aiutaci ad aiutare”: è un messaggio errato perché il nostro compito è quello di mettere al centro il donatore.
Per mettere il donatore al centro delle nostre attività sono necessarie una serie di attività:
- chiedere nel modo giusto valorizzando l’apporto del donatore;
- ringraziare per quello che il donatore ha fatto;
- raccontare l’impatto che la donazione ha avuto nel tempo;
- conoscere, che è il modo migliore per creare rapporto esclusivo (attraverso una survey, una richiesta di fare qualcosa per noi, cercare di coinvolgerli in altre attività che non comprendono la donazione come il volontariato, la partecipazione ad eventi, la firma di petizioni per noi).
Queste 4 attività rappresentano 4 mattoncini del Donor Love: l’unità minima per costruire un rapporto di relazione con il donatore.
Budget e donor love: quanto impatta? Servono investimenti specifici?
Sì, servono assolutamente investimenti sia economici sia di tempo di qualcuno del team. Gli enti hanno tanti donatori e non possiamo chiamarli o incontrarli tutti e per questo si utilizzano le tecniche di mass marketing, che sono di fatto un investimento: basti pensare all’invio del giornalino, di email, sms, telefonate da parte dei volontari. Attività che comportano dei costi, costi che però sono ampiamente ripagati e per questo bisogna considerarle nella logica di investimento.
Confrontandoci tra associazioni, abbiamo confrontato dati che mostrano come un nuovo donatore rimane donatore di quell’ente solo nel 30% dei casi, meno di uno su tre! Visto che durante la pandemia ci sono molte persone che sono diventate donatrici sull’onda dell’emergenza è probabile che post-pandemia questo dato peggiori ancora.
Questo è un grande problema. Acquisire un donatore ha un costo e non riuscire a trattenerlo è un peccato. Per ovviare a questa “perdita” è necessario creare una relazione che ci permetta di farlo rimanere. Il Donor Love serve a questo ed è per tutti! È fondamentale dunque valutare il tempo in cui il donatore rimane con noi e fa donazioni: adesso la media è di 3 anni, esclusi i donatori regolari che hanno un comportamento differente rispetto a quelli che donano online, via bollettino o via iban.
Un altro dato interessante che dimostra che il Donor Love è un investimento e non un costo riguarda il tempo che intercorre tra la prima donazione e il nuovo dono: prima il donatore fa un nuovo dono e più è probabile che resti con noi. Di solito le nuove donazioni avvengono dopo le lettere di ringraziamento, che non hanno richiesta, o quando i donatori ricevono qualcosa di valoriale, come un contenuto o un attestato.
Ecco perché continuare ad investire nella relazione con il donatore è fondamentale per riuscire a trattenerlo.
Quali sono i 3 must have del donor love?
Tre concetti sono fondamentali per l’approccio Donor Love:
- I mattoncini del donor love di cui abbiamo parlato prima:
chiedere, ringraziare, conoscere e raccontare; - Usare il principio di Pareto, economista italiano che ha scoperto che l’80% dei risultati si ottiene dal 20% degli sforzi, questo principio ci aiuta ad ottimizzare gli investimenti. Per esempio, per un’organizzazione nonprofit non è possibile telefonare a tutti i donatori, è necessario scegliere di chiamare solo chi può fornire maggiore supporto (in ottica di investimento di risorse e aspettative di raccolta);
- Suddividere i donatori in gruppi in base al loro comportamento (gruppi che tecnicamente vengono chiamati cluster). L’abbiamo visto anche prima, chi ha fatto un primo dono è diverso da chi ne ha fatti due e questi ultimi da chi ne ha fatti di più. Chi dona meno ha aspettative e comportamenti diversi da chi dona cifre più alte.
Siccome non possiamo andare con tutti a livello individuale creare di gruppi di donatori in base alla loro esperienza donativa ci permette di personalizzare la relazione con loro e avvicinarci di più. La clusterizzazione diviene quindi uno strumento importantissimo per trattare i donatori in modo personalizzato ma secondo logiche di gruppo e non uno a uno, altrimenti sarebbe troppo dispensioso.
Quali sono le caratteristiche del donatore post-pandemia (se di donatore post-pandemia possiamo parlare)?
In questo ultimo anno i donatori, anche gli stessi che ci sostenevano prima, hanno cambiato modalità di donazione (si sono attivati online o hanno anche solo preferito il bonifico al posto del più classico bollettino) e si è modificata anche la media di dono, perché le donazioni sono più alte. È come se cambiando la modalità di donazione, sia cambiato anche il donatore.
Ci sono stati però anche tanti nuovi donatori che gli enti già sanno che non rimarranno perché hanno risposto sull’onda emotiva dovuta all’emergenza; alcuni donatori ci abbandoneranno; altri si fidelizzeranno; altri ancora si comporteranno in altri modi; sicuramente però avranno piacere di voler essere aggiornati su ciò che facciamo e su ciò che abbiamo fatto con le loro donazioni o in generale in questo ultimo periodo perché sicuramente il donatore post-pandemia è un donatore più interattivo e abituato ad utilizzare gli strumenti digitali.
Tutti questi sono fattori che incidono positivamente sul dono ma anche sulle modalità di donazione: basti pensare a quanti strumenti e meccanismi abbiamo sdoganato in tutti gli ambiti della nostra vita (ad esempio è possibile fare una call su zoom al posto degli open day classici, facendo “entrare” in sede i donatori da tutta Italia che non sarebbero mai venuti di persona).
Il donatore si è trasformato come ci siamo tutti trasformati in questo periodo di chiusura, difficoltà e fatica in cui tutti, però, vediamo anche opportunità. Infine dobbiamo pensare al fatto che si sta per creare un passaggio generazionale importante anche nei donatori: ci sarà una nuova categoria di donatori con cui dobbiamo rapportarci in modo diverso.
Cosa significa ringraziare e quanto si distanzia dal chiedere?
Ringraziare e chiedere sono due attività separate e in questo modo vanno trattate, evitando di fare quello che in America viene chiamato Thask (Thank you + Ask, ti ringrazio e ti chiedo subito di nuovo).
Ringraziare significa mettere il donatore al centro e valorizzare ciò che ha fatto per noi. Se vogliamo, è utile fargli sapere quello che lo aspetterà dopo nella relazione con noi per non spiazzarlo (ti chiameremo, ti aggiorneremo con una newsletter, ecc), ma il “grazie” deve essere il punto e deve essere un ringraziamento sincero.
Eventualmente possiamo invitare il donatore a fare qualcosa di diverso dalla donazione (come ad esempio incontrarci), ma il focus deve restare comunque sul ringraziamento per fargli capire che siamo grati di ciò che ha fatto per noi.
È questo che aumenterà la sua volontà a legarsi a noi nuovamente.
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